Rassegna Stampa del Cameo

Il Ceo capitalism ci trasformerà tutti in zombie

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Come sanno i miei lettori (lo so, siamo quattro gatti, però ci vogliamo bene), dai miei interstizi svizzeri conduco una battaglia (risibile, lo so io per primo) contro il ceo capitalism (forma deviata del capitalismo classico, che mette al centro di tutto i “consumatori”, quindi il monopolio), e contro i suoi padroni (felpe californiane e, in modo mascherato, i gerarchi di Xi Jinping, i primi ad averlo realizzato compiutamente).

Sia chiaro, la mia è una guerra privata, un po’ Don Chisciotte, un po’ divertissement: vorrei che i miei amati nipotini non finissero nel grande Zoo al quale costoro stanno lavorando. Il loro modello politico-economico-culturale porta a un “Big Zoo”, ove tutti gli umani sono connessi, in prospettiva destinati a diventare tutti zombie, dopo che saranno stati eliminati confini, storia, religioni, culture, dissenso, con la scusa di eliminare le guerre, e ogni biodiversità intellettuale sia scomparsa.

Un mondo idiota ove, per esempio, le auto saranno tutte elettriche, l’energia tutta fossile. Un esercito di kapò provvederà al controllo degli zombie, e al vertice ci saranno “Loro”, circondati da bodyguard, anche se non ve ne sarebbe alcun bisogno perché la pace dominerà sulla terra. Come ovvio, è uno scenario per ora scherzoso, ma se fossi un giovane un pensierino lo farei.

Usciamo dalla metafora.

Lo storytelling del ceo capitalism è sempre stato tutto centrato sul mito della “competizione” declinata in diverse varianti, con un termine prediletto: disruptive innovation. Ma appena approfondisci, appena passi dalla teoria, dalle chiacchiere colte, e arrivi alla banale execution, tutto si sgonfia.

È uscito nei giorni scorsi su Repubblica un pezzo (“I veri padroni digitali”) del mio giovane amico (giovane perché ha l’età dei miei figli essendo stato suo padre un mio prezioso collaboratore), Juan Carlos De Martin, professore di informatica e cultura digitale al Politecnico di Torino (leggetevi il suo ultimo libro “Università Futura”, Codice Edizioni) che inquadra perfettamente il problema, e lo fa con un linguaggio asciutto e impeccabile.

Personalmente, trovo assolutamente ridicolo sia che l’Europa abbia dato una multa miliardaria a Google, sia che Donald Trump abbia tuonato contro l’Europa per averlo fatto, e più ridicolo ancora che noi élite ci si sia schierati con l’uno o l’altro. Sono sceneggiate indecorose entrambe, tutte tese a fare il gioco di Google, azienda canaglia perché monopolista.

Se non tratti tutti i Big di Silicon Valley, da monopoli, come sono, cioè se non applichi le regole auree (trust busting) praticate dal Presidente Teddy Roosevelt all’inizio del Novecento contro le “felpe” di allora (avevano “panciotti ricamati”), significa che la politica non ha più dignità e lo Stato si sta suicidando. Per questo il mio disprezzo (conta zero, sia chiaro) per chi ci ha governato, di destra o di sinistra poco importa, in quest’ultimo quarto di secolo è totale. E ho il forte sospetto che i cosiddetti sovranisti saranno pure loro gabbati da costoro.

De Martin spiega in modo impeccabile il contesto. La parola “monopolio” non si deve mai pronunciare proprio perché il modello di business non può che tendere al monopolio: quindi non solo economie di scala ma pure “effetto rete” (il valore della rete cresce, come noto, con il quadrato dei suoi nodi, legge di Metcalfe) e poi il “jolly” definitivo tipico del monopolio: più i vincitori accumulano dati e questi crescono, con il crescere dei clienti diventano un asset irraggiungibile per qualsiasi concorrente partito dopo.

In quest’ottica se anche un Albert Einstein 2.0 scoprisse oggi l’algoritmo-sogno e pure un motore di ricerca-sogno, non potrebbe mai competere con Google, perché il valore non è nel suo algoritmo, ma nel patrimonio dati di Google, fattosi genetico in corso d’opera, grazie al monopolio. Ragionando in termini di business puoi solo cercare qualche nicchia di mercato ancora scoperta che la “felpa” di turno ti concede, chiedendoti un’ovvia tangente. Questo si chiama, semplicemente, monopolio e una società liberale e aperta lo deve distruggere, nell’interesse dei cittadini. Invece no, l’attuale classe dominante costoro li coltiva (eccome) e li protegge.

De Martin chiude il suo pezzo invitando l’Europa a un ripensamento radicale di cosa significhino “competizione” e “mercato” nell’età dei Big Data. Parole sante caro Juan Carlos, ma siamo quattro gatti a porci questo dilemma. Intanto, il Big Zoo cresce, cresce, e cosa ci attenderà? Non ho elementi per rispondere a questa domanda, solo “percezioni”, ma queste non sono ammesse perché fasciste. E bisogna tacere, come durante il fascismo.

Riccardo Ruggeri, 30 luglio 2018

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