Il Csm è diventato un mostro

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Un amico analista, che vuole mantenere l’anonimato, commenta il recente scandalo del Csm e l’evoluzione nel tempo di questo organo di rilievo costituzionale

Ci sono due elementi cruciali e drammatici che emergono dallo scandalo Csm (e finora sono passati sotto silenzio).

1. Il primo è il fatto che indagini, istruttorie, processi sono usati come armi, offensive o negoziali, per dare forza a strategie personali di carriera. La cosa è molto grave: significa che la libertà personale, il bene più prezioso, è trascinata a discrezione nella polvere degli scontri di potere.

2. Il secondo elemento è il rapporto sbilanciato tra magistrati e politici che si rivela negli intrighi registrati dal trojan: i magistrati danno gli obiettivi, indicano le strategie, i politici fanno da spalla o da tramite, chiedono favori, difendono mediocri convenienze. Si è sempre detto che occorreva difendere i magistrati dalle intromissioni dei politici: nelle registrazioni sembrano i magistrati a utilizzare i politici – figure ancillari, che vanno a rimorchio.

All’inizio del dopoguerra, quando si disegna il Csm, la magistratura è un corpo molto diverso dall’attuale: esce dal fascismo e da una lunga accondiscendenza, non ha ambizioni politiche, i tratti conservatori e la gerarchia prevalgono, il Csm – appena è formato – risulta null’altro che un organo di autodisciplina interna. Oggi la situazione è del tutto cambiata: dagli anni 70, quando i partiti cominciano a delegarle emergenze che non riescono a risolvere (prima il terrorismo, poi la lotta a una mafia sempre più aggressiva), la magistratura diventa sempre più influente nella società, esercita poteri crescenti, per lo più trasferiti da una politica indebolita e confusa, finché dopo il ’92-‘93 e Mani Pulite si staglia come una vetta del potere: la corruzione è elevata, al pari del terrorismo e della mafia, a emergenza drammatica che blocca la nazione e che solo la legge può arginare, i partiti perdono prestigio e – nella vana speranza di ritrovare stima – si spogliano di tutele e di status (l’abolizione dell’immunità parlamentare, la creazione di nuove tipologie illecite in ambito amministrativo ed elettorale), i magistrati assumono compiti di vigilanza quasi morale sulla vita civile e politica (che ne resta sempre più indirizzata).

In questo contesto il Csm non è più un semplice organo disciplinare – nel tempo diventa uno snodo centrale delle istituzioni. Le correnti, sotto la cipria sindacale, funzionano, come racconta il trojan di Palamara, da macchine di potere. Chi comanda al Csm alla fine, per vie indirette, condiziona la politica. Si diluisce la separazione dei poteri e in realtà il giudiziario sottomette il legislativo: il guaio è che nella gestione del potere i magistrati non sembrano affatto fare meglio dei politici.

Per amministrare la disciplina di un ordine dello Stato non è essenziale la partecipazione degli interessati. La giustizia garantisce meglio l’imparzialità se uno schermo istituzionale, oltre che dalle interferenze dei politici, la protegge dai conflitti di potere delle toghe che la dichiarano. Il criterio di composizione della Corte Costituzionale (un terzo dei giudici nominato dal Capo dello stato, un terzo votato dal Parlamento, un terzo attribuito ai vertici della magistratura) garantisce, da oltre sessant’anni, ottimi risultati: perché non estenderlo anche al Csm (magari dimezzato negli effettivi visto che non sarebbero più da assicurare gli equilibri tra togati e politici)?

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