Ondata di caldo, il grafico che nessuno vi mostra

L’ennesimo allarme non ha nulla di “scientifico”. E alcuni dati sono raccontati in modo “birichino”

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Alcuni amici mi chiedono di commentare l’ennesimo allarme climatico sul caldo lanciato da Repubblica – e da chi sennò? – stavolta sulle ondate di calore. Titola il 18 luglio il quotidiano di – si fa per dire – informazione, ove si abbeverano i cervelli più profondi del pensiero della sinistra italiana: «Afa, allarme globale: nel sud Europa il clima del Sahara».

Cercherò, come posso, di accontentare gli amici, ma avverto già d’ora di essere un po’ stufo, anche perché son consapevole che fra poche settimane tutto sarà finito, come ogni estate, d’altronde.

Sebbene stufo, la cosa forse merita una qualche ulteriore attenzione perché essa non è circoscritta alla redazione del secondo quotidiano italiano, ma si estende un po’ ovunque nel mondo che conta, cioè quello occidentale fatto di Europa e Usa, il mondo che sta alimentando una vergognosa guerra ai danni dei russi che vivono nel Donbass. Ma è il mondo che conta, e ce ne facciamo una ragione.

Anche l’americana Epa (che sarebbe l’agenzia per l’ambiente) si occupa di ondate di calore e, naturalmente lo fa secondo scienza. Ed ecco sull’andamento delle stesse in America cosa riferisce l’Epa.

Gli istogrammi riportano delle ondate di calore (dall’alto in basso da sinistra a destra): a) la frequenza, cioè il numero medio d’ondate di calore nel corso dell’anno, b) la durata media, in giorni, c) la durata stagionale, cioè il numero di giorni tra la prima e l’ultima ondata di calore dell’anno, d) l’intensità, cioè la temperatura durante le ondate di calore al di sopra della soglia media locale.

Come si vede la situazione peggiora drasticamente dal 1960 a oggi: ogni indicatore si fa sempre più allarmante. Repubblica ha ragione.

L’Epa agisce secondo scienza, scrivevo poche righe sopra. Ma non secondo coscienza. Perché gli istogrammi sopra sono bugiardi come possono esserlo solo le verità dette a metà. Molto accuratamente, come in una operazione chirurgica, i dati disponibili all’Agenzia sono stati troncati, appunto, a metà, e sono stati fatti cominciare nel 1960. Ma l’indice delle ondate di calore in America esteso agli anni 1890-2022 è riportato nel seguente grafico:

Un indice pari a 0.2, per esempio, potrebbe significare che il 20% del territorio Usa ha patito almeno un’ondata di calore, oppure che il 10% del territorio Usa ha patito 2 ondate di calore, e così via. I picchi di ondate di calore degli anni 1930-40 sono più che evidenti, così come è evidente il fatto che limitandosi a far partire i dati dagli anni Sessanta, la crescita nel tempo appare più evidente.

Ma v’è un altro punto ove le cose sono raccontate in modo birichino. Mentre nell’ultimo grafico i dati riguardano l’intero Paese, negli istogrammi sono state scelte 50 città e, se tanto mi dà tanto, il sospetto sorge che possano essere state scelte quelle ove v’è stata crescita delle ondate di calore nel tempo. Faccio peccato a pensar male? Sì, però loro non avrebbero dovuto troncare gli istogrammi al 1960.

La conclusione finale è che non c’è nulla di nuovo sotto il sole: nei 10 anni 1930-40 l’indice di ondate di calore raggiunse, negli Usa, valori da 2 a 7 volte maggiori.

A questo punto, commentare Repubblica credo sia un futile esercizio giornalistico: meglio guardare, passare, e di lor non curarsi.

Franco Battaglia, 19 luglio 2023


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