“Il green pass ci rende liberi”. Sì, come in Unione Sovietica

Nuove restrizioni, non vaccinati discriminati, mascherine ovunque: e questa sarebbe libertà?

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Giovedì scorso, durante la puntata di Controcorrente, programma condotto da Veronica Gentili su Rete4, si è a lungo dibattuto intorno alle nuove restrizioni decise dal governo Draghi. Secondo  Tommaso Labate, draghiano tra i più entusiasti, per la prima volta dall’inizio della pandemia si sarebbe deciso di affrontare la questione in modo pragmatico, con il chiaro intento di convivere con il virus, anziché richiudere ancora una volta il Paese. Ancor più convinto Alessandro Sallusti, il quale è arrivato a sostenere che l’intensa campagna di vaccinazione “promossa dal governo e spinta dal green pass ci ha reso uomini liberi”. Stappiamo tutti l’italianissimo spumante in anticipo, allora, per la meritata riconquista dei nostri diritti costituzionali.

Peccato però che con quelle “risibili” misure decise il 23 dicembre si stringe ulteriormente il cappio intorno alle libertà della minoranza dei non vaccinati. Minoranza a cui verrà impedito persino di prendersi un caffè al bar, neppure se in possesso di un tampone negativo. E a me questa estensione dell’apartheid sanitaria pure ai banconi dei pubblici esercizi, luoghi quasi di culto per molte generazioni di italiani, mi fa abbastanza orrore e ribadisce ancora una volta che se non ti vaccini sei trattato come un reietto.

Ma poi di quale libertà riconquistata stiamo parlando, se per l’ennesima volta viene decretato l’obbligo insensato e malsano, secondo molti medici e studiosi non ortodossi, delle mascherine all’aperto? Verrebbe da rispondere al buon Sallusti, se noi siamo “liberi” di poter circolare addobbati come mummie, allora lo sono anche le donne che vivono sotto il regime dei talebani e che indossano il burqa. Tuttavia noi siamo più bravi degli stessi talebani, perché in nome della parità di genere la mascherina la imponiamo a uomini e donne. In sostanza, come accade in molti Paesi di cultura islamica per il citato burqa e per altri indumenti obbligatori, le mascherine hanno assunto da tempo un grave elemento di controllo politico e sociale sui cittadini, altro che chiacchiere.

Inoltre, per dirla tutta, una presunta, ma molto presunta libertà riottenuta sulla base di un abominevole ricatto perpetrato prima col lasciapassare semplice, e poi con quello rafforzato, non pare cosa degna di grande giubilo.

In realtà  la libertà di cui godevamo in precedenza, e che  alcuni Paesi, su tutti la Svezia, non hanno mai perso senza provocare una ecatombe di morti, noi oramai ce la sogniamo. Costretti ad una vaccinazione senza limiti, nell’intento folle di inseguire un virus che muta rapidamente, ad indossare le mascherine  ovunque ed a vivere, per così dire, una socialità distanziata e sterile sotto tutti i punti di vista, abbiamo accettato in massa una nuova normalità di stampo sovietico, una sorta di comunismo vaccinale. L’unica differenza e che, mentre nel paradiso fondato da Lenin le file si facevano per il razionamento della carne, nell’Italietta del coronavirus ci si mette in coda per eseguire un tampone il quale è ritornato prepotentemente in auge ma, si badi bene, non abbastanza per consentire ai non vaccinati di bersi un sacrosanto caffè al bar.

Claudio Romiti, 25 dicembre 2021

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