Mentre negli States soffia fortissimo il vento della deregulation, sotto la spinta di Donald Trump, in Italia siamo costretti a convivere con una selva di norme e di protocolli bizantini che imperversano persino nello sport amatoriale. Sport amatoriale che, al di là degli indubbi aspetti salutistici, dovrebbe rappresentare l’essenza del principio di libertà, ma che invece sta subendo da tempo un continuo inasprimento delle misure che lo soffocano da lungo tempo.
Mi riferisco, in particolare, alle assai popolari corse su strada le quali, tanto in America che nel resto del mondo, fuori dei nostri confini sono aperte a tutti, a prescindere dal possesso o meno di una tessera, di un certificato medico-sportivo e di una assicurazione obbligatoria, così come viene imposto ai nostri podisti per partecipare persino alla garetta di una sagra di paese.
Ebbene, dato che sono stato di recente nominato coordinatore regionale dell’Endas ( uno dei tanti enti di promozione sportiva in via di estinzione proprio a causa dei troppi legacci burocratici che ne stanno paralizzando l’attività) per l’atletica leggera, ho iniziato ad approfondire la spinosa questione, cercando di portare il mio modesto contributo alla causa di una sostanziale liberalizzazione dello stesso settore amatoriale.
Ebbene, ho scoperto con un certo raccapriccio che proprio in merito alle citate, popolari maratone – in Italia se ne contano circa una sessantina – vige il principio paradossale, soprattutto in questa fase in cui governa la destra, secondo cui vengono prima gli stranieri. Una sorta di stupefacente foreigners first sportivo che, in soldoni, permettono agli atleti delle altre nazioni di poter partecipare alle nostre competizioni con una semplice liberatoria, consentendo anche a chi non è iscritto ad alcuna società di correre ugualmente, venendo poi incluso in una classifica a parte.
Tutto questo nasce da una sollecitazione del Coni per promuovere il cosiddetto turismo sportivo (visto che le nostre più importanti manifestazioni non hanno mai raggiunto neppure lontanamente i numeri delle concorrenti estere, in cui la partecipazione è libera ) raccolta nel gennaio del 2020 da una mozione presentata alla Camera da Maurizio Lupi, da sempre grande praticante del podismo.
In pratica la medesima mozione, approvata all’unanimità con 413 voti favorevoli, sollecitava il governo dell’epoca a predisporre un disegno di legge per consentire ai cittadini stranieri di partecipare liberamente alle corse su strada italiane senza alcun obbligo se non quello di una liberatoria, così come accade nel resto del mondo.
A quanto ne so, anche a causa della stramba pandemia di Covid-19, che distolse completamente l’attenzione del legislatore, nessun disegno di legge fu mai approvato. Ma a salvare il business degli organizzatori dei grandi eventi podistici – perché di questo si tratta – ci pensò il Coni, attraverso il suo braccio armato della Federazione italiana di atletica leggera. Tant’è che attualmente nei complicati e labirintici regolamenti della Fidal, che sembrano scritti dal più fulgido azzecagarbugli del terzo millennio, viene stabilità da tempo la possibilità di far correre i podisti stranieri in due grosse categorie: i tesserati con la semplice liberatoria, che gareggiano nella stessa categoria degli italiani, e i cosiddetti cani sciolti i quali, come sopra accennato, entrano in una speciale graduatoria a parte. Mentre gli italiani, compresi gli iscritti ad un ente di promozione sportiva, in possesso degli stessi requisiti dei tesserati Fidal, sono costretti a fare da spettatori.
Ora, senza entrare in ulteriori e astruse anomalie sportive che, al pari di altri aspetti della vita sociale ed economica ci rendono distanti anni luce dal modello freedom americano, facendoci somigliare molto alla defunta Ddr, la speranza è che qualche illuminato esponente dell’attuale maggioranza prenda a cuore il tema della libertà sportiva, sostanzialmente offuscata dal solito eccesso di norme e steccati che caratterizzano il nostro Paese.
In questo caso, come mi sono permesso di fare a suo tempo, sarebbe auspicabile che il nostro brillante ministro dello Sport, l’ottimo Andrea Abodi, facesse sentire la sua voce in merito. In attesa dell’auspicata svolta liberale, che ci dia la possibilità di partecipare alla Roma-Osta o alla Stramilano, non ci resta che continuare ad usare senza sosta i nostri monotoni tapis roulant.
Claudio Romiti, 25 gennaio 2025
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