Il razzismo antirazzista della poetessa di Biden

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“Not suitable”, non adatto. È così che la signorina dal cappottino giallo, Amanda Gorman, meglio nota come il “poeta di Biden”, ha liquidato il secondo traduttore europeo di poesie. Il motivo è molto semplice. Sia Marieke Lucas Rijneveld che Victor Obiols, una olandese, l’altro catalano, sono troppo bianchi. Nient’altro. Quindi come per i nazisti solo un ariano poteva tradurre un altro ariano, così la signorina Gorman indica la nuova via dei razzisti dell’antirazzismo: solo neri per poesie nere.

Il caso Rijneveld

Il caso era iniziato diverse settimane fa. Quando la Rijneveld, che ha vinto l’International Booker Prize nel 2020 con il romanzo The Discomfort of Evening, rendeva pubblica la sua decisione di stracciare il contratto con la casa editrice che l’aveva assunta per tradurre l’edizione europea di The Hill We Climb. La prima raccolta di poesie della Gorman, alcune lette durante l’inaugurazione presidenziale di Joe Biden – che più che poesie sono discorsi politici –, che denunciano l’essenza dell’afroamericanità. Quindi, una bianca e bionda come l’olandese Marieke Lucas Rijneveld non è degna né di capire né di tradurre. Queste in breve, le accuse, condite da insulti, che avevano tartassato la Rijneveld sulla stampa internazionale e che l’hanno costretta a fare un passo indietro.

La polemica è nata in qualche modo da Janice Deul, attivista e giornalista, di origine Surinamese, che sostiene la diversità nel mondo della moda, dei media e del settore creativo/culturale. In un commento sul quotidiano olandese de Volkskrant aveva scritto: «Senza nulla togliere alle qualità di Rijneveld perché non scegliere una scrittrice che è – proprio come Gorman – famosa, giovane, donna e impenitentemente nera?». Fu il ‘la’ per le pressioni.

La casa editrice Meulenhoff si era difesa dicendo che l’editore aveva anche assicurato che un gruppo di lettori avrebbe testato la traduzione per valutare se contenesse un linguaggio offensivo, stereotipi o altre false dichiarazioni. Ma neanche questo tentativo di censura era bastato.

Il ragionamento per gli “antirazzisti” è “semplice”: Gorman parla di come migliorare una società razzista da una prospettiva afroamericana, Rijneveld è troppo bianca per capirlo.

Il caso Obiols

Stesso destino nazista è toccato pochi giorni fa a Victor Obiols. “Mi hanno detto che non sono adatto a tradurlo”, ha riferito all’AFP il traduttore catalano Victor Obiols. “Non hanno messo in dubbio le mie capacità, ma cercavano un profilo diverso, che doveva essere una donna, giovane, attivista e preferibilmente nera”.

Obiols è stato chiamato dall’editore Enciclopedia dicendo che dagli Usa avevano fermato tutto. Il suo profilo non risponde alle esigenze di Amanda: è pure un uomo oltre ad essere bianco, catalano e non troppo giovane. Per di più, come se non bastasse, Obliols aveva anche già consegnato il lavoro.

E i diritti dei lavoratori? Ma nessuno di quelli che abitualmente vedono il razzismo in ogni dove ha alzato o alzerà la voce per difendere due professionisti di fatto licenziati perché bianchi.

Il body shaming di Obama

Che poi, più o meno, è quello che è accaduto con A Promised Land di Obama. Il 44esimo presidente degli Stati Uniti, l’uomo che non ne ha mai sbagliata una, di classe e con una moglie davvero raffinata (dicunt sic!), il premio Nobel per la pace sulla fiducia, il gentleman amico del popolo con i valori al posto giusto, e i principi teneteveli per voi, ha dato sfogo al tanto caro body shaming dei politicamente correttissimi. Avete presente quando la forma del corpo è reato?

Ma nessuno è saltato sul tavolo. Obama, il santo, ha dedicato ampi stralci del suo volume ai vari capi di Stato che ha conosciuto durante i suoi due mandati. E nel descriverli non ha voluto giudicarne l’operato, il pensiero politico né eventuali sfide che si son trovati ad affrontare. Ma il giudizio di merito si è fermato alle sue sensazioni e al fastidio provato – che ne ha determinato la valutazione politica – di gesticolare, di atteggiare il corpo oltre che nelle caratteristiche fisiche dei leader internazionali con cui ha dovuto lavorare.

Eppure nessuno ha osato commentare. Un po’ come quando la politica italiana asseriva che Berlusconi non poteva essere degno di presenziare al G7 basso com’era, in A Promised Land l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama si presenta abbastanza sprezzante nei confronti dei famosi “grandi del mondo” che ha incontrato.

Tralasciando le pagine in cui denuncia l’inquietudine per l’elezione di Donald Trump, visto come l’origine del male nel mondo, tutto il libro diventa presto il manifesto dei veri ideali politici (i suoi!) che un uomo del ventunesimo secolo dovrebbe avere. E sebbene in tanti abbiano recensito il testo guardando ad Obama “come un uomo dalla profonda umanità e che cerca sempre di vedere oltre i cliché e le apparenze”, da Promise Land vien fuori il contrario. Decisamente.

Putin “il boss” e Sarkozy “gallo nano”

La questione della razza è  affrontata con il piglio della signorina Rottermeier. L’insistenza con cui l’autore denuncia la necessità di “tornare all’umano”, concetto, per lui, di fondamentale importanza, viene presto tradita dal racconto dei personaggi politici che ha incontrato. L’ex presidente scrive, così, che quando il suo consulente David Axelrod gli chiederà la sua impressione di Putin, Obama risponderà, “lo trovavo stranamente familiare. Un boss locale, solo con le testate nucleari e il diritto di veto all’Onu”. Esternazione che suscitò, come riporta l’autore, ilarità in Axelrod, salvo poi ribadire, “Per me non era uno scherzo. Putin, in effetti, mi ha ricordato il tipo di uomini che un tempo gestivano la macchina di Chicago o Tammany Hall: personaggi duri, intelligenti e privi di sentimento che non si erano mai mossi al di fuori delle loro esperienze ristrette e che facevano di corruzione, shakedown, frode e violenza occasionale strumenti legittimi del mestiere. Non ci si poteva fidare di loro”.

E se per Obama, Putin, l’attuale presidente della Russia, è un “boss”, affermazione pericolosissima rivolta a un capo di Stato legittimamente eletto, Angela Merkel è un leader “fermo, onesto, intellettualmente rigoroso e istintivamente gentile”. Aggiungendo che inizialmente era stato scettico nei suoi confronti, per via della sua capacità di parlare (sic!).

Poi tocca all’ex presidente francese Sarkozy. Quando fa il parallelo tra il leader francese e quello tedesco, Barack Obama scrive, “non è stato difficile sapere quale dei miei due partner europei si sarebbe rivelato il più affidabile”.

E mettendo da parte la finta clemenza, lascia presto il posto al bodyshaming – per continuare ad usare una parola cara al mondo-Obama e politicamente correttissimo. L’ex presidente gentlemen e intellettualmente superiore scrive così, “le discussioni con Sarkozy erano a loro volta divertenti ed esasperanti, le sue mani in perpetuo movimento, il petto gonfio come quello di un gallo nano”. E poi, “con i suoi tratti scuri, vagamente mediterranei (mezzo ungherese e per un quarto ebreo greco) e la sua bassa statura (un metro e 66 ma portava rialzi nascosti nelle scarpe per sembrare più alto), sembrava uscito da un quadro di Toulouse-Lautrec”.

Diventa interessante provare ad immaginare cosa sarebbe successo se a scrivere, dire, osare scherzare con espressioni simili, fosse stato un Trump o un Orban qualsiasi. La deprecabile violenza verbale e il giudizio del prossimo legato alle caratteristiche fisiche assomigliano tanto allo stile Saviano: lo scrittore che rivendica il diritto ai brogli e all’odio.

Un nero e democratico può fare anche bodyshaming, o come volete chiamarlo. Chi dissente finisce nel fuoco incrociato. E sotto l’egida di minacce come quella di Rashida Tlaib, “qualsiasi critica ai progressisti nient’altro sarebbe che una becera insopportabile forma di razzismo”. E allora un uomo e una donna bianchi non son degni di tradurre un nero. E un nero può dire e fare quel che gli pare.

Oggi l’Occidente è più preoccupato della vita dei panda e degli alberi che di quella di un professore decapitato dall’islam, di un bianco colpevole di essere erede della cultura cristiana, di un autore bianco e basta. Il tempo in cui nascondiamo e abbattiamo i simboli è arrivato molto prima del previsto.

Se prima per tenere il posto di lavoro o essere rispettati in società bisognava dirsi comunisti, in Italia come altrove, oggi occorre non mettersi contro gli antirazzisti e il loro terrore letterario.

Lorenza Formicola, 13 marzo 2021

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