Il Recovery fund commissaria la destra per 40 anni

77.9k 67
generica_porro_1-1200

L’accordo sul Recovery fund ammanetta i sovranisti. Con l’Italia commissariata, vincolata alla restituzione dei prestiti e all’aumento dei contributi al bilancio Ue fino al 2057, qualsiasi programma politico che non preveda la genuflessione ai diktat di Bruxelles e Berlino sarà neutralizzato. E per circa 40 anni a questa parte.

In primo luogo, pesano il ruolo del Consiglio europeo e il sistema del cosiddetto «freno d’emergenza», preteso dall’Olanda. Per bocciare i pacchetti di riforme presentati da Roma, basterà un cartello di Paesi nordici sostenuto dalla Germania. La quale avrà gioco facile a smettere i panni del poliziotto buono, indossati in occasione di questo negoziato, per inchiodare l’operato politico di un governo ribelle. In più, un singolo Stato avrà la facoltà di deferire al Consiglio un membro dell’Unione, qualora esso deviasse dagli obiettivi indicati nei piani ammessi al finanziamento: in parole semplici, o facciamo i compiti a casa, o rischiamo la sospensione.

Dal momento che l’Europa ce l’ha «raccomandato», già andiamo verso l’eliminazione del contante, l’abolizione di quota 100, l’introduzione di una patrimoniale e l’inasprimento della tassazione sugli immobili. Potete immaginare cosa accadrebbe se Matteo Salvini e Giorgia Meloni vincessero le prossime elezioni e provassero a invertire il senso di marcia. Rimanete attaccati al cash? Vi blocchiamo i sussidi. Volete andare in pensione prima di ritrovarvi moribondi? Vi blocchiamo i sussidi. Rifiutate la riforma del catasto? Vi blocchiamo i sussidi. Vi opponete al prelievo forzoso sui conti correnti? Vi blocchiamo i sussidi. Non rispettate i parametri di bilancio, peraltro appesantiti proprio per alimentare il Next generation Eu? Vi blocchiamo i sussidi.

Se poi la destra scegliesse di andare alla guerra, l’effetto sarebbe disastroso: è lecito prevedere una reazione di panico sui mercati, qualora l’Ue minacciasse di sospendere le rate del Recovery fund. E l’opinione pubblica darebbe ai leader sovranisti la colpa di una chiusura dei rubinetti di Bruxelles.

Questo scenario va proiettato sui prossimi sei anni. Ma i tentacoli europei s’allungheranno sull’Italia ben più a lungo. Infatti, per procurare i 390 miliardi di euro a fondo perduto che dovranno essere distribuiti ai beneficiari del Next generation Eu, il nostro Paese dovrà versarne 55 in più nel bilancio comunitario tra il 2028 e il 2057. Così, le condizionalità e l’ipoteca sulla destra si protrarranno per 37 anni.

Una situazione simile non solo minaccia di frustrare qualsiasi ambizione delle forze nazionaliste, ma potrebbe persino contribuire a frantumare l’unità della coalizione. Silvio Berlusconi, già solleticato da ipotesi di larghe intese (in cambio, vagheggia per sé il Quirinale), potrebbe cedere alla tentazione di abbandonare i compagni di viaggio, ormai alle corde, per ritagliarsi uno spazio in un nuovo arco costituzionale. In ogni caso, il peso specifico dei moderati risulterebbe aumentato nel confronto con gli alleati: sono il Cav e i suoi eredi gli interlocutori dei tedeschi a destra.

Certo, se il ragionamento è giusto, la politica dei prossimi decenni accentuerà la deriva tecnicistica, prescindendo sempre di più dalla volontà degli elettori. Una democrazia svuotata, come d’altronde sognano da sempre gli eurocrati: «I mercati vi insegneranno a votare», ci minacciava l’ex commissario Gunther Oettinger. Con la scusa della pandemia, l’Unione europea ha definitivamente intrapreso la strada della sovietizzazione: più centralizzazione, più tasse, più assoggettamento dei Paesi satelliti. Lo scopo? Addomesticare elettorati riottosi, restii ad accettare la ricetta Ue – che poi, come qualche volta ammette Romano Prodi, coincide con la cinesizzazione del lavoro e del welfare.

Il destino di un’alternativa politica sarà drammaticamente appeso alle elezioni Usa: una sconfitta di Donald Trump finirebbe per relegare il sovranismo a breve parentesi storica. O almeno, colpirebbe a morte il sovranismo dei “reietti”, perché invece la cura degli interessi nazionali, truccata alla buona da afflato europeista, esce in ottima salute dall’intesa sul Recovery fund (citofonare Angela Merkel e Mark Rutte).

La ricerca di una via d’uscita dall’impasse, per Salvini e Meloni, deve avere la massima priorità strategica. È più importante dei gravi screzi che, al di là dei reciproci sorrisi di circostanza, continuano a dividerli.

Alessandro Rico, 23 luglio 2020

 

 

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version