Il Simenon nazista di cui nessuno parla

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Il più grande giallo che abbia mai inventato George Simenon sono i suoi lettori. Perché leggere i suoi romanzi tutti uguali? Perché leggere un autore che, come scrive nella sua poderosa autobiografia “Memorie intime”, considera i suoi lettori dei falliti? Un altro vero mistero è come abbia fatto a nascondere il suo collaborazionismo con il regime nazista: solo negli ultimi tempi, attraverso i suoi archivi privati, si sono scoperti i suoi “scheletri nell’armadio”.

Vediamo di indagare su un giallo alla volta. Simenon è un tarpato. Ma è tarpato perché non ce la fa a uscire dal “quadro”, non ne ha la forza, il coraggio, l’abnegazione, la radicalità. Mentre proprio questo è visto dai tarpati come un suo grande merito. E così fa contenti i lettori e editori: è un filantropo, un benefattore dell’umanità, lui sì che sa far girare la macchina commerciale per il verso giusto. Se siete ancora di quelli che cercano qualcosa in più nella letteratura, vi deluderà sempre, è giusto che vi deluda. Se non vi aspettate niente, non vi deluderà mai. È il termometro di quest’epoca. Uno scrittore per lettori rassegnati, che non chiedono più niente alla letteratura, alla vita. Simenon non ti dà mai niente di più di quello che hai già, che sai già, ti fa solo perdere un po’ di tempo che ti divide dalla tua morte mentre succhi questa gradevole caramella letteraria. Ti rende solo un po’ più morto di quando hai cominciato un suo libro.

È lo stesso Simenon nella sua già citata autobiografia a scrivere che “Gli uomini leggono, perché quasi come il pane, hanno bisogno di finzione e soprattutto soddisfano lo spasmodico bisogno di finzione dei lettori: si immergono nella finzione dei miei romanzi perché nella vita sono stati incapaci di trovare la verità. Brutalmente: si rifugiano nel mio teatro perché là fuori, nel mondo reale hanno fallito in qualcosa. Mi ritengo un riparatore di destini”. In sintesi, ritiene i suoi lettori dei falliti. Il caso Simenon è troppo speciale perché ci si possa limitare a spiegarlo col talento. C’è chi lo ha definito un “imbecille di genio” e bisogna essere ostinati al limite dell’ottusità per raccontare quattrocento e più volte la stessa storia. Perché i destini che Simenon si sforza di “riparare” hanno tutti la stessa caratteristica, somigliano tutti a “Lo Straniero” di Camus. Destini di persone che a un certo punto cominciano a perdere pezzi di sé. I pezzi che l’individuo perde sono gli ingranaggi che lo fanno procedere dentro le regole della società. Saltati questi ingranaggi, comincia una deriva angosciosa nella quale l’improvviso e inesplicabile gesto criminale non è che la punta dell’iceberg. Perché la maggior parte si adegua alla società, non comprendendo che è come mettersi una pietra al collo. Camus ha liquidato la faccenda con un paio di romanzi. A Simenon ne sono occorsi centinaia.

Centinaia di romanzi che si trovano a pochissimi euro in qualsiasi bancarella a 2 euro di qualsiasi città, borgo, sagra, nelle vecchie edizioni Mondadori, eppure la maggior parte preferisce le eleganti edizioni Adelphi. Ecco l’unico merito di Simenon è di vendere tantissimo permettendo ad Adelphi di pubblicare saggi e romanzi magari, purtroppo, letti da pochi lettori.

Simenon e il nazismo. Appena arrivato a Parigi nel 1922, Simenon trovò un impiego come segretario presso Binet-Valmer, figura di spicco della destra parigina, svolgendo l’attività di tuttofare per una lega d’estrema destra, prima di passare a un vero lavoro di segreteria presso il marchese de Tracy, ricco aristocratico della stessa area politica. La prima biografia interamente basata su fonti dirette l’ha scritta Pierre Assouline “Simenon. Una biografia” (Odoya edizioni) e contiene rivelazioni assolutamente inedite. È stato lo stesso Simenon a consegnargli la chiave dei suoi archivi personali dov’erano conservati i suoi epistolari.  Nel periodo tra il 19 giugno e il 13 ottobre 1921, quando Simenon ha 18 anni, il quotidiano La Gazeta de Liège pubblica una serie di 17 articoli tutti intitolati “Il pericolo ebraico”. I primi sono anonimi ma a partire dall’ottavo compare la sua firma “Georges Sim”. E si leggono frasi come: “Si può affermare, senza tema di esagerazioni, che se gli ebrei non sono stati i fautori della guerra, sono sicuramente stati coloro che ne hanno approfittato”. Oppure: “Il ruolo degli ebrei nella finanza internazionale non è un’immaginazione. La verità è che il pericolo giudaico esiste e le forze nazionali devono combatterlo”. Che giornale era La Gazette de Liège? Era un quotidiano che parlava degli ebrei come dei “peggiori e maledetti nemici del Cristo”.

Poi un altro periodo poco noto. Dopo la fine della guerra, invece di rientrare a Parigi, passa alcuni mesi in località Sables d’Olonne. L’ipotesi da lui stesso accreditata era che in quel periodo era stato malato. Non era vero? “Era una parte della verità. L’altra parte è che Simenon era stato condannato dal comitato d’epurazione per gli scrittori a non poter più pubblicare per due anni. Sulla base di quale accusa? “Collaborazionismo. Cedette i diritti di Maigret alla “Continental”, una società di produzione e propaganda cinematografica che faceva capo direttamente a Goebbels. Naturalmente furono necessari una serie di contatti prima di firmare l’accordo e Simenon fu visto infatti entrare più volte nella sede della Kommandantur nazista, sinistramente famosa”.

E a proposito di cadaveri negli armadi: Simenon ne ha anche uno reale, la morte di suo fratello minore Christian, un collaborazionista militante, legato al partito di estrema destra nazista, il terribile Rex. Un vero e proprio criminale colpevole di una strage in cui morirono 26 civili e anche di un prete. Dopo la guerra fu condannato a morte, ma su consiglio di Georges si arruolò nella Legione straniera nel 1947. Morte di cui la madre non perdonò mai George Simenon. I lettori evidentemente sì.

Gian Paolo Serino, 28 settembre 2019

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