Il tramonto della Merkel e la crisi del Ppe

La fine dell’era Merkel lascia degli strascichi a livello europeo, tra questi la crisi del Ppe

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Il Partito Popolare Europeo (Ppe) rappresenta da anni il partito perno dell’Unione Europea: da quasi un quarto di secolo è la prima forza politica del Parlamento continentale; dall’inizio del 1995 detiene, con l’eccezione del quinquennio di Romano Prodi, la Presidenza della Commissione; da sempre costituisce un essenziale punto di riferimento per il potente apparato amministrativo e dirigenziale di Bruxelles. Oggi però vive una crisi politica profonda, che al momento non lascia intravvedere uno sbocco chiaro e mette in tensione il funzionamento delle istituzioni Ue.

Perché il Ppe perde colpi

La pesante sconfitta della Cdu nelle recenti elezioni di Germania, fino ad oggi il bastione del predominio popolare, ha reso evidente il declino. Tuttavia è da tempo che il Ppe perde colpi. In Francia e in Italia la sua presenza è residuale, inferiore al 10% dei voti. In Spagna i risultati elettorali sono buoni, ma il governo è in mano ai socialisti e all’estrema sinistra di Podemos. Solo nazioni minori, come Grecia e Austria, hanno un Premier e un governo del Ppe. Gli altri partiti europei sono messi molto meglio: i socialisti governano in Germania, Spagna, Scandinavia; i liberali guidano Francia, Olanda, Belgio, Irlanda; i conservatori sono al comando in Polonia, Ungheria e nel Regno Unito, se lo si vuole considerare parte delle vicende europee.

Linea politica debole

In realtà il principale punto debole sta nella linea politica. Angela Merkel, nel suo lungo periodo di comando, ha forgiato un’alleanza molto solida con i socialisti basata, al fondo, su uno scambio spregiudicato: i popolari accettano un allineamento subalterno all’ideologia individualista e fortemente critica della tradizione (esplosione dei diritti, abbandono del primato valoriale assegnato alla famiglia, esaltazione di tutte le altre forme di relazione personale, ecologia a gogò) che forma la visione ufficiale delle élite occidentali e che i socialisti accolgono con passione; a compenso ottengono mano libera sulle politiche economiche e la ripartizione del potere.

La subalternità ideologica ha provocato fratture sedate solo dall’avallo perentorio fornito da Merkel: in Spagna la linea politica, premiata dai voti (vedi la recente brillante vittoria di Diaz Ayuso nella regione di Madrid), è molto più spostata a destra e per nulla anti-tradizionale; in Austria il leader che ha vinto le elezioni, Sebastian Kurz, ha condotto per quattro anni una politica estranea alle prevalenti posizioni sbilanciate a sinistra e alla fine ha dovuto dimettersi a causa di un’accusa di corruzione dai tratti alquanto artificiosi; nel partito bavarese, socio della Cdu, il malessere politico è grande e diffuso.

Cosa lascia l’epoca Merkel

La divergenza politica è amplificata dalle conseguenze che la visione iperschierata in tema di diritti provoca sulla struttura di poteri dell’Unione e sui rapporti fra le nazioni. La Commissione, incoraggiata dalla quasi unanimità ideologica, ha molto allargato il proprio campo d’intervento oltrepassando il perimetro economico e spingendosi, con l’argomento dello Stato di diritto da difendere, su terreni, come l’educazione o la giustizia, di tipica pertinenza delle legislazioni nazionali. Ne è scaturito un forte incremento di conflitti che crea all’Ue un generale problema strategico e inoltre pone i popolari in una posizione lontana da quella – congenita e fruttuosa per anni – di mediazione e di equilibrio fra le varie sensibilità.

L’epoca Merkel è finita e ha lasciato un segno negativo su molti fronti: partito tedesco in rotta, identità popolare svilita e confusa, strategia economica in difficoltà (durante lo scontro Usa/Cina il mercantilismo a tutti i costi non quadra con la sicurezza affidata agli americani), Unione frammentata e rissosa. Ora si riaprono i giochi, la vecchia linea è da aggiornare (se non da cambiare) e la partita d’avvio è il congresso Cdu di gennaio. La posta, di enorme valore, è una nuova sintesi politica: i termini dell’equazione strategica – dagli sbandamenti dell’economia post-Covid alla confusa marginalità dell’Europa sullo scacchiere mondiale – sono complessi e probabilmente non saranno decisi solo all’interno del partito popolare: i partiti conservatori e nazionalisti, che finora il Ppe ha snobbato o spregiato, hanno la chance, nel momento in cui la strategia loro contraria è fallita, di far pesare la propria visione.

Antonio Pilati, 11 novembre 2021

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