Ilaria Capua, la viro-influencer gretina

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A volte sorge un dubbio: e se fossimo noi, dico noi conservatori e liberali, a non aver capito nulla dei tempi che viviamo, del nichilismo di fondo che li pervade e dei livelli cui è giunto? Non è forse anacronistico prendere sul serio, come noi facciamo, l’avversario e impostare contro di lui una battaglia culturale, opponendo il buon senso alle sue parole senza senso e razionalità? E se il fine dello scienziato, ad esempio, ma vale anche per altre categorie, non fosse più quello di coltivare la scienza, che esige impegni e sacrifici, chiusi notte e giorno nei laboratori e lontano dai riflettori, ma quello di diventare un “personaggio” visibile e quindi in grado di fare lauti guadagni con la sua “immagine” più che con il suo essere reale?

In particolare, sono tre elementi che non abbiamo considerato a sufficienza: 1. la società dello spettacolo è tale non perché sia dato molto spazio allo spettacolo in sé, o non solo, ma perché tutto tende a diventare intrattenimento o infoenteinment; 2. quindi non conta tanto essere uno scienziato ma giocare al ruolo dello scienziato; 3. il quale non ha più come  prioritario compito quello di comunicare o divulgare la scienza ma di far sì che la scienza venga a coincidere col sentire comune, la “chiacchiera” quotidiana di heideggeriana memoria. Che poi questa chiacchiera sia quella del luogocomunismo, dimostra solo come la sinistra sia al passo dei tempi e abbia realizzato quella saldatura con lo spettacolo e il business che alla destra, ancora legata – vivaddio! – ai classici valori dell’autenticità e della sincerità, non è riuscita.

Se ora pensate che queste elucubrazioni siano le osservazioni di un filosofo con la testa fra le nuvole, vi prego di considerare il (non più a questo punto “strano”) caso della professoressa Ilaria Capua. La professoressa, di cui non spetta a me giudicare il valore scientifico delle sue ricerche passate, anche se a occhio non mi sembrano attinenti in senso stretto alla virologia, si è buttata a capofitto sul Covid distillando opinioni e consigli un po’ su tutte le reti. Ovviamente, ha preteso di essere pagata, e bene! Per farla breve, questo è diventato il suo lavoro principale, con tanto di agenda fitta di appuntamenti. I media, che sono conformisti e lavorano per cliché, l’hanno inseguita, e lei ha alzato ancor più il prezzo, proprio perché ormai businesswoman piuttosto che cultrice della scienza. Benissimo, l’importante è sapere a che gioco si stia giocando. Il fatto che si collega dall’America risponde poi bene al cliché di “cervello in fuga”, per di più donna, ecc. ecc.

A un certo punto però la nostra ha capito che per mantenersi nel suo nuovo status occorreva rinvigorire il personaggio, anche perché il Covid prima o poi sarebbe scomparso. Ecco allora, i servizi di copertina sulla sua vita privata, con lei ormai atteggiata a showgirl, come la sua ormai offuscata cugina Roberta; oppure le dichiarazioni conformi al sentire comune o banal luogo-comuniste. Da quest’ultimo puto di vista, come ha notato Carlo Lottieri sui social, è venuta a pannello la dichiarazione in puro stile gretista di qualche giorno fa: “la pandemia ci dice che bisogna trattare meglio il pianeta”. Una frase facile facile, che non dice nulla ma serve a compiacere le tante “anime belle” di cui è pieno il mondo e che esse sì (come ci diceva Hegel) spesso al mondo fanno male. Non vorremmo però essere fraintesi: nulla contro Ilaria Capua, né ho ragione di pensare che i suoi studi passati non fossero di alto valore scientifico. Né che prima o poi possa ritornare, con profitto, in laboratorio. Solo la consapevolezza che va collocata nella categoria di scienziato, ma in quella di donna di successo e imprenditrice che vende con profitto la sua immagine. Senza nessun moralismo. E anzi anche con ammirazione. Che sarebbe ancora maggiore se in giro ci fosse meno ipocrisia, da una parte, e più capacità di distinguere da parte della massa “pecorona” (scusatemi l’elitismo di maniera). Il compito dell’uomo di cultura è, appunto, distinguere, e ciò serve anche ad arginare gli effetti più nefasti del nostro tempo (che ovviamente, come ogni altro, ne ha anche tanti di positivi). Ogni cosa iuxta propria principia, ammoniva Bernardino Telesio. E noi vorremmo che un po’ tutti imparassero questa arte della distinzione, e cioè del retto giudicare.

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