Israele ammette: “I vaccini non bastano”

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dal The New York Times

La scorsa primavera, la campagna di vaccinazione straordinariamente rapida di Israele è stata vista come un modello globale. I contagi da coronavirus sono crollati, il green pass ha permesso ai vaccinati di partecipare a concerti al chiuso e ad eventi sportivi, e alla fine è stato eliminato l’obbligo di distanziamento sociale e quello di indossare le mascherine.

Israele aveva offerto al mondo uno sguardo pieno di speranza sulla via d’uscita dalla pandemia .

Non più.

Una quarta ondata di infezioni sta rapidamente riportando Israele ai livelli dei giorni peggiori dello scorso inverno. Il tasso giornaliero di nuovi casi confermati di coronavirus è più che raddoppiato nelle ultime due settimane, rendendo Israele un focolaio in crescita nelle classifiche internazionali .

Questa settimana sono state ripristinate le restrizioni alle riunioni e ai luoghi commerciali e di intrattenimento, e il governo sta valutando un nuovo lockdown.

“Credo che siamo in guerra”, ha detto mercoledì in commissione parlamentare il commissario israeliano per il coronavirus, il prof. Salman Zarka.

Gli scienziati stanno ancora studiando come la risposta israeliana alla pandemia sia passata da brillante esempio ad ammonimento, e l’incredibile capovolgimento è diventato un test cruciale per il nuovo primo ministro israeliano, Naftali Bennett, che aveva rivendicato la sua leadership sulla base dello slogan “Come battere una pandemia”.

Ma alcuni esperti temono che l’alto tasso di infezioni di Israele tra i primi destinatari del vaccino possa indicare un calo dell’efficacia del vaccino nel tempo, una scoperta che ha contribuito alla decisione degli Stati Uniti di iniziare a offrire agli americani nuovi richiami a partire dal prossimo mese.

Il vaccino potrebbe essere meno efficace nel prevenire l’infezione con la variante Delta, altamente contagiosa e ora prevalente in Israele. Inoltre i primi ad essere vaccinati sono stati anziani il cui sistema immunitario potrebbe essere stato più debole.

A giugno, gli israeliani, convinti che il peggio fosse passato, avevano abbandonato il distanziamento sociale e altre precauzioni.

“Tutti hanno cercato di lasciarsi alle spalle il ricordo di un anno e mezzo molto difficile”, ha affermato il prof. Ran Balicer, presidente di un gruppo di esperti che consiglia il governo israeliano sulla risposta al Covid. “In quel momento”, ha detto, “il paradigma per molti era che Israele fosse il Paese più vaccinato al mondo, che le persone vaccinate raramente si infettano, che ancor più raramente si ammalano gravemente e che fondamentalmente, nonostante le poche precauzioni, la popolazione fosse molto vicina all’immunità di gregge. Non è stato un errore”. Il problema, ha detto, è che ciò che era valido per il virus originale “non è necessariamente valido per altre varianti associate alla diminuzione dell’immunità”.

La stragrande maggioranza della popolazione anziana israeliana ha ricevuto due dosi del vaccino Pfizer-BioNTech entro la fine di febbraio, e ora circa il 78% della popolazione dai 12 anni in su è completamente vaccinata.

Si ritiene ancora che il vaccino aiuti a prevenire malattie gravi in coloro che vengono infettati, sebbene alcuni dati israeliani suggeriscano la possibilità di un aumento del rischio di malattie gravi tra coloro che hanno ricevuto per primi la vaccinazione. Nell’ultimo mese numero di morti in Israele è cresciuto con l’aumentare del tasso di contagio.

Vedendo i livelli di infezione calare in primavera e determinato a riavviare l’economia, Israele aveva cancellato il green pass, allentato i divieti di viaggio e revocato tutte le altre restrizioni. L’ultimo ad essere annullato, il 15 luglio, è stato l’obbligo di indossare la mascherina all’interno.

Giorni prima, tuttavia, una famiglia era tornata da una vacanza in Grecia nella città di Modiin, un centro di pendolari della classe media tra Tel Aviv e Gerusalemme. Secondo il sindaco, Haim Bibas, più del 90% dei suoi residenti dai 12 anni in su è vaccinato, il che la rende una delle città più vaccinate di Israele. Ma la famiglia è composta un bambino troppo piccolo per essere vaccinato, e che – secondo le normative – al rientro avrebbe dovuto trascorrere almeno 10 giorni in isolamento domiciliare in attesa di un test molecolare negativo. Invece, i genitori lo hanno mandato a scuola. Alla fine, circa 80 studenti sono stati infettati dalla variante Delta. “Il bambino non è da biasimare”, ha detto il signor Bibas, puntando indirettamente il dito contro i genitori. Un secondo focolaio si è verificato quasi contemporaneamente in circostanze simili in una scuola del nord.

Da allora la variante Delta ha preso il sopravvento in Israele e ora proviene principalmente dall’interno del Paese.

Il professor Balicer a maggio ha avvertito che, nonostante il successo iniziale, la pandemia in Israele non è finita. C’è il rischio continuo di varianti che possono essere impermeabili al vaccino. Su una popolazione di nove milioni, circa un milione di israeliani idonei ha finora scelto di non vaccinarsi affatto. E tra le persone completamente vaccinate, gli scienziati israeliani hanno trovato prove crescenti della diminuzione dell’immunità, in particolare tra la popolazione anziana che è stata vaccinata per prima.

I dati pubblicati dal Ministero della Salute israeliano a fine luglio suggeriscono che tra fine giugno e inizio luglio il vaccino Pfizer è risultato efficace solo al 39% contro la prevenzione dell’infezione, rispetto al 95% del periodo tra gennaio e inizio aprile. In entrambi i casi, tuttavia, il vaccino è stato efficace per oltre il 90% nel prevenire malattie gravi. Gli esperti avvertono che queste prime valutazioni non sono state scientificamente provate: il piccolo numero di casi coinvolti, le politiche di test di Israele e una serie di altri questioni potrebbero aver distorto i risultati.

Tuttavia, con l’avvicinarsi dell’estate, le infezioni hanno iniziato a crescere. La scuola era finita, le famiglie affollavano gli hotel locali e fino a 40.000 persone al giorno volavano all’estero, anche se la variante Delta stava imperversando in tutto il mondo. Dopo molti giorni di zero decessi per Covid a giugno, questo mese sono morti almeno 230 israeliani.

A differenza dei precedenti epicentri di infezione nelle comunità ultra-ortodosse, questo flagello ha preso piede principalmente nei sobborghi ben vaccinati della classe media.

Alcuni esperti hanno accusato il nuovo governo di essere stato lento a rispondere.

La ripresa del contagio ha coinciso con il giuramento del governo di Mr. Bennett a metà giugno. Dopo tre lockdown, Bennett è arrivato con un nuovo approccio, affermando che il Paese doveva convivere con il virus e mantenere le attività produttive a pieno regime. L’ha definita una politica di “soppressione morbida”.

Il 25 giugno è stato ripristinato l’obbligo della mascherina nei luoghi al chiuso, ma è stato poco rispettato. Medici allarmati hanno iniziato a sollecitare misure più severe, compresa la limitazione di tutti gli incontri. Il comitato consultivo del governo ha chiesto due volte, a luglio e di nuovo il primo agosto, l’immediato ripristino del green pass.

“Solo nelle ultime due settimane è tornato un senso di urgenza”, ha affermato il prof. Nadav Davidovitch, esperto di salute pubblica e membro del comitato consultivo. “Quello che stiamo facendo ora, dovevamo farlo a luglio”.

Ma dopo l’euforia prematura della primavera, la stanchezza della popolazione ha reso difficile il ritorno a rigidi protocolli antivirus. “È una questione di disciplina”, ha affermato la prof.ssa Galia Rahav, capo dell’Unità di malattie infettive e dei laboratori presso lo Sheba Medical Center vicino a Tel Aviv. “La gente è stanca delle mascherine. Vuole vivere”.

I funzionari temono che molti israeliani siano ancora ignari del crescente pericolo.

“Il pubblico israeliano non ha ancora capito che siamo in una quarta, significativa ondata”, ha affermato Tomer Lotan, direttore generale del Ministero della Pubblica Sicurezza. “Viviamo ancora nella routine, con la sensazione di essere vaccinati. È difficile realizzare un cambio nel discorso pubblico e dire: ‘Ascolta, siamo in una catastrofe.’”

Israele ora ripone le sue speranze sui richiami. Partendo dagli over 60, ed espandendo rapidamente lo sforzo ai maggiori di 50 anni, questo mese più di un milione di cittadini ha già ricevuto una terza. I ricercatori israeliani affermano che ci sono segni preliminari che i casi di nuovi contagi tra le persone vaccinate più anziane potrebbero aver iniziato a diminuire .

Uno studio preliminare pubblicato mercoledì da Maccabi, un operatore sanitario israeliano, ha scoperto che il richiamo del vaccino Pfizer fornisce un’efficacia dell’86% contro l’infezione nelle persone di età superiore ai 60 anni, una settimana o più dopo aver ricevuto la terza dose.

Sulla necessità dei richiami infuria il dibattito mondiale. L’amministrazione Biden ha annunciato mercoledì che gli americani vaccinati con Pfizer-BioNTech e Moderna potranno ricevere il richiamo otto mesi dopo aver ricevuto le loro seconde dosi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene invece che i vaccini disponibili sarebbe meglio usarli per vaccinare persone ad alto rischio nelle nazioni povere dove pochi hanno ottenuto le dosi e dove potrebbero emergere nuove varianti.

La maggior parte dei palestinesi in Cisgiordania e a Gaza rimane non vaccinata dopo che a giugno i funzionari palestinesi hanno respinto un accordo con Israele.

Il professor Davidovitch, l’esperto di salute pubblica israeliano, ha ricevuto una terza dose. Ma ora è convinto della necessità di una strategia a più livelli, che includa l’uso di mascherine, la limitazione dell’accesso ai luoghi pubblici ai vaccinati o a coloro che sono guariti dal virus e misure per rafforzare il sistema sanitario.

“Le vaccinazioni avrebbero dovuto risolvere tutto”, ha detto. “Ora capiamo che non bastano”.

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