Juncker e quella classe dirigente senza dignità

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Altro che martedì nero. Sarà l’inizio della fine di un’epoca o la certificazione della fine di un sogno? C’è differenza? Mi metto nei panni dei miei nipoti (fra i 10 e i 15 anni) come interpreterei ciò che sta succedendo? Tre sono troppo piccoli, se fossi la più grande sarei in un terribile imbarazzo. Lo stesso che provai io alle elezioni del 18 aprile del 1948 (avevo 14 anni). Confusamente capii che i grandi erano chiamati a decidere con il voto su un’alternativa secca, cioè se volevano continuare a essere liberi, visto che erano stati appena liberati dagli americani (per tutta la vita sarò loro riconoscente, malgrado gli enormi errori che compiranno in corso d’opera) o cadere sotto un sistema che, in fondo, voleva semplicemente sostituire il nero con il rosso (per tutta la vita li considererò la stessa cosa, e non mi sono sbagliato).

Dopo un quarto di secolo di potere, una classe dominante (un mix fra un nero e un rosso, entrambi sbiaditi) si rifiuta di prendere atto che ha fallito su tutta la linea. Noi cittadini siamo più poveri, più indebitati, senza sogni, senza uno straccio di ascensore sociale, consumatori zombie di prodotti osceni (l’ultima è l’automobilina elettrica concepita per i debosciati delle Ztl, a spese dei poveri). E loro? Non riescono a prendere atto che con quel modello non vai da nessuna parte. Con quella governance non hai un futuro. Quella moneta di cui tanto ti vanti è un oggetto nominalistico, si chiama “euro” per alcuni, “spread” per tutti gli altri: una buffonata.

Quelli che continuano a governarci non hanno neppure la dignità di porsi la domanda: come ci giudicherà la storia? Ve lo diranno i giovani, statene certi, la storia sarà spietata con voi. Non siete stati capaci di pensare in grande, continuate a stare disperatamente aggrappati alle vostre “cadreghe”, mentre intorno a voi si palesa lo sfacelo operativo delle vostre politiche. La doverosa autocritica che i risultati vi impongono, l’affidate al rappresentante del paese che meglio riassume l’Europa: in 17 minuti, in auto, lo attraversi, perché è un banale campo di cuscute (in botanica, pianta parassita della famiglia delle Convolvulaceae). Il simbolo di quest’Europa è stata la cuscuta: Angela Merkel, Emmanuel Macron, Jean-Claude Juncker i tre possidenti terrieri che l’hanno coltivata e commercializzata.

Doverosa ma ridicola l’autocritica sulla Grecia, noi cittadini europei sappiamo perfettamente che i colpevoli di quello scempio sono stati i capi dei 28 Stati che hanno incaricato dei funzionari della Commissione, della Bce, del Fmi di fare il lavoro sporco, sulla base delle teorie, dei modellini, degli economisti di regime (si definiscono tali quelli che hanno sempre ragione, perché “competenti”, dicono, stante i loro curricula).

Che fare? Questi, di qualsiasi ordine e grado della casta, vadano tutti a casa, scompaiano dalla vita pubblica, dai media. Si sono arricchiti (la maggioranza onestamente), si comprino le isole del Caribe, si vestano di bianco, scorrazzino con le loro amate automobiline elettriche da un capo all’altro dell’isola. Ma non si facciano più vedere. E dopo le elezioni europee (per fortuna vige il sistema proporzionale puro) i vincitori resettino il modello in essere e lo ridisegnino, mettendo al centro, non più l’orrendo consumatore dei sociopatici monopolisti cino-californiani, ma l’uomo europeo, con i suoi valori giudaico cristiani (ovvio, se i cittadini elettori lo vorranno). E, se gli inglesi lo vorranno, tornino nella casa europea. Solo menti malate possono accettare un’Europa senza il Regno Unito. Prosit!

Riccardo Ruggeri, 16 gennaio 2019

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