La bufala del modello italiano (e della strage negli Usa)

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Come noi liberali e conservatori dovremmo dire con sempre più forza la campagna della stampa mainstream contro le fake news è a sua volta una fake news. Per il semplice motivo che spesse volte le bufale essa le crea a monte, già nella costruzione del discorso: delle sue regole e dei suoi personaggi, buoni e cattivi per definizione. La pandemia è stata un’ulteriore prova di questa tendenza, con la differenza che, mentre sulla grande stampa d’oltreoceano qualche critica al politicamente corretto comincia timidamente a farsi strada, da noi in Italia le “narrazioni ufficiali” non solo partono dall’alto, dagli uffici stampa di politici e governanti, ma imperversano spudoratamente senza un minimo di spirito critico.

Ecco, allora che la gestione italiana dell’emergenza, prima sanitaria con il lockdown e poi economico-sociale con i vari decreti di “cura” e “rilancio”, diventa un “modello” che tutti ci invidierebbero e copierebbero; mentre al contrario la gestione dell’emergenza da parte dei “sovranisti” Donald Trump e Boris Johnson, in questo caso subdolamente definiti “negazionisti”, sarebbe stata a dir poco criminale. Che poi i dati dicano l’esatto contrario e che, di fronte ad un’economia piegata noi si debba elemosinare soldi (prima o poi da restituire) a destra e a manca, questo è solo un dettaglio. Senza contare che siamo l’unico Paese che non ha fatto ripartire le scuole e che forse lo farà a settembre nel peggiore dei modi possibili. Ma, come dire, è sul luogo comune e sul pregiudizio che si fonda il potere di carta (sempre più in tutti i sensi viste le vendite in calo).

Bisogna dare atto a Federico Rampini di aver scoperto il vaso di Pandora riprendendo ieri su Repubblica un dossier sul fallimento del modello sanitario europeo pubblicato, con tanto di dati incontrovertibili, dal New York Times. Fatte le debite proporzioni, la performance degli Stati Uniti risulta nettamente migliore di quella dei Paesi europei singolarmente presi, mentre fra questi ultimi l’Italia è agli ultimissimi posti. Significativo, per più versi, è però anche l’articolo di Danilo Taino stamattina sul Corriere della Sera. Pur fra i mille distinguo dell’antitrumpismo di maniera, esso riporta una serie di dati che in sostanza dimostrano come in America siano stati gli Stati governati dai democratici (New York e California) i più colpiti. Tanto che il tentativo di Taino di salvare capre e cavoli dicendo che i “governatori” repubblicani si sono dimostrati più bravi ed efficienti del loro comandante in capo risulta alquanto goffo e fuorviante.

Ma la cosa più rilevante, per dire come la cultura dei pregiudizi appanni la vista anche a commentatori che si dicono “liberali” come Taino, è che a nessuno viene in mente che le perplessità, diciamo così, manifestate dai leader dei Paesi anglosassoni nel muoversi decisi verso il lockdown dipenda anche e soprattutto da una questione culturale: da quelle parti le libertà fondamentali, solennemente sancite ad esempio dalla Costituzione americana, sono qualcosa di connaturato agli individui. Donald Trump rappresenta, contro i seguaci del “politicamente corretto” rigorosamente filoeuropeista, multiculturalista e antinazionale, il più autentico “spirito americano”, con la sua grandezza e con i sui “vizi” che sono parte integrante delle sue virtù. Ci piaccia o meno.

Poiché le narrazioni vincenti sono fondate su fake news e sono incapaci di fare discorsi di verità, esse prima o poi sono destinate a scontrarsi con la realtà: con la dura forza dei fatti. Si può illudere una, due volte, il “popolo bue”, pensando che sia tale, ma alla fine non bisognerebbe dimenticare la coloritura espressione di Totò: “cca nisciuno è fesso”

Corrado Ocone, 23 luglio 2020

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