La Capua infettata dal virus di Greta

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“Le città italiane si allagano, le foreste australiane bruciano, i ghiacciai argentini si sciolgono, gli oceani si scaldano, gli insetti muoiono e i virus saltano da una specie all’altra: tutto grazie alle nostre azioni”.

È una delle perle di cui è disseminato Il dopo. Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale (Mondadori), l’ultimo libro della virologa, già montiana, Ilaria Capua. I giovani ecologisti che sono tornati in piazza ieri trovano in lei un’inattesa alleata: la Capua è stata infettata dal virus di Greta Thunberg, perché dal suo volume pare che la pandemia sia colpa del climate change. Della razza umana che attenta alla «biodiversità», si appropria di «territori che, ecologicamente, non le sono propri», depaupera le foreste e propizia i salti di specie degli agenti patogeni. Sarà per questo che, secondo la Capua, è “bellissimo” che “Madre natura” si stia “risvegliando”: sì, ci sono stati oltre 30.000 morti, ma almeno “nel porto di Cagliari sono tornati i delfini” e in Lombardia ci sono meno emissioni di diossido di azoto. Non solo: è bastata “qualche settimana di ritiro della specie umana per ridurre in modo drastico il problema considerato praticamente irrisolvibile (oltre che gravissimo) dell’inquinamento cinese”. Soluzione geniale: anziché esigere che la Cina non ci avveleni, facciamo “ritirare” il resto della specie umana.

A proposito: di critiche alla Cina, nel saggio della Capua, non c’è quasi l’ombra. Non compare mai, in riferimento a quello di Pechino, la parola “regime”. Su 144 pagine, ci saranno sì e no dieci righe in cui la virologa accenna vagamente alla “preoccupazione delle autorità”, “rivolta più a evitare la diffusione del panico che a informare i cittadini e il mondo”. Già: l’autocrate Xi Jinping voleva solo evitare il panico. Mica insabbiare la Chernobyl cinese. È tutta colpa del riscaldamento climatico e degli alberi tagliati in Amazzonia. Non c’entra niente l’Oms, il cui direttore generale è stranamente sponsorizzato dalla Cina e che stranamente s’è bevuta tutte le rassicurazioni di Xi.

Pechino, semmai, appare un campione del gretismo: a ottobre, ricorda la Capua, ospiterà la Convenzione sulla diversità biologica e poi “un summit sul Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza e sul Protocollo di Nagoya sull’accesso e l’equa distribuzione delle risorse naturale”. Che faro di civiltà.

Ma quel che più irrita del libro è il tentativo di far leva sulla rispettabilità accademica dell’autrice, per conferire dignità scientifica a tesi politiche zoppicanti. Ad esempio, la virologa prende la notizia, tutta da verificare, per cui le donne si ammalerebbero meno di Covid-19, per sostenere che il gentil sesso andrebbe mandato a lavoro e gli uomini andrebbero ancora sequestrati in casa. “Il che porterebbe a una immediata e impellente riorganizzazione dei ruoli”. Sempre lì si va a parare: demolire la famiglia tradizionale e punire il patriarcato, perché “senza i nostri uteri non si va da nessuna parte”. E gli anziani? Ovviamente, segregati pure loro. A fare da surrogato del contatto umano, tablet e cellulari ricondizionati. Geniale.

Poi c’è il triplo carpiato con cui la Capua balza dalla pandemia ai vaccini contro l’influenza stagionale. Direte voi: e che c’entra? Eppure, Nicola Zingaretti l’ha resi obbligatori dal 15 settembre per over 65 e personale sanitario. Sarà pura malignità supporre che qualcuno stia infilando nella filiera del Covid-19 qualcosa che, con il virus, non c’entra niente? Gli italiani che si vaccinano contro l’influenza sono pochi, ma se fossero stati di più, spara la Capua, “i numeri del contagio da Sars-Cov-2 sarebbero stati più contenuti”. Anche se la luminare ammette di non avere “ancora a disposizione informazioni tali da poter suffragare” questa tesi. Però, assicura, ne “sono convinta”. Da quando l’autoconvinzione è diventata parte integrante del metodo scientifico? Tanto più che finora i fatti paiono smentirla: in Gran Bretagna, ad esempio, il vaccino antinfluenzale è molto più diffuso che da noi, e nondimeno il Paese è stato colpito altrettanto duramente dal Covid.

In una cornice del genere, è inevitabile che la cura proposta dalla Capua sia peggiore del male. Tutto il ragionamento si risolve in uno spottone all’Ue, alle Nazioni Unite e ai colossi del Web. L’Europa dovrebbe dotarsi di “un’unica cabina di regia e di una catena di comando chiara” per il contrasto alle epidemie. Segnaliamo alla virologa che le agenzie europee esistono già. E non sono servite a niente. Sulla sviolinata agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu, c’è poco da dire: è un libro dei sogni, che mischia ambientalismo di maniera ad amenità come la “povertà zero” e la pace nel mondo. Ben più preoccupanti, però, sono le idee della Capua sui “colossi della tecnologia” che dovrebbero gestire i “big data derivati dalla ricerca scientifica”.

La nuova frontiera è, secondo l’ex onorevole di Scelta civica, la “digital health”: ovvero, “braccialetti che registrano il nostro battito cardiaco, misurano il livello di glucosio nel sangue o la proteina C reattiva”. Una bella mole di dati biometrici nelle mani dei capitalisti della sorveglianza – ma tanto, si schermisce la Capua, “tra cinque anni saremo misurati in tutto”, “non potremo più vivere una vita clandestina” e tutto questo “non sarà per forza un male”. Anzi, “ci aiuterà a diventare i primi guardiani della nostra salute”.

Signor virus, la preghiamo: si faccia da parte, prima che instaurino il totalitarismo sanitario.

Alessandro Rico, 6 giugno 2020

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