Rassegna Stampa del Cameo

La crisi dei giornali? Perchè non sono più specchio ma selfie

Noi vecchi lettori stiamo assistendo, attoniti, alla caduta implacabile, mese dopo mese, delle vendite dei quotidiani (cartacei e digitali). Per me, innamorato del cartaceo (anche se Zafferano è digitale), è un dolore vero leggere le statistiche Ads. Il ricambio dei lettori in base all’età è inesistente: escono vecchi lettori, non ne entra nessuno, né giovani, né vecchi. Ormai il modello culturale, politico, economico (Ceo capitalism) che da un quarto di secolo ci impone le sue oscene ricette ha obbligato noi vecchi, che abbiamo lavorato (tanto) e risparmiato (tutto il possibile) ad accollarci il welfare dei nostri figli e nipoti, subendo pure l’ironia dei colti che ci invitano a togliere il disturbo (chiameranno l’eutanasia di Stato budget?). Per aiutarli a vivere con un minimo di dignità (una specie di reddito di cittadinanza famigliare) abbiamo tagliato tutte le spese non vitali, comprese quelle culturali secondarie, libri e giornali.

La strategia degli editori, declinata dai direttori e dalle redazioni delle testate più importanti (cinque, sei?) è sempre la stessa: ristrutturazioni continue e mantenimento delle stesse linee politico-editoriali, tipiche del mainstream dominante, il che comporta l’automatica cannibalizzazioni dei sempre più rari lettori. Le ristrutturazioni continue per loro natura sono la classica fatica di Sisifo, perché appena una testata ha completato il progetto di riduzione del personale e dei costi, scopre che, nel frattempo, i ricavi sono in percentuale diminuiti di più. E allora via a un’altra ristrutturazione. Vista dall’esterno sembrerebbe quasi che la difesa delle reciproche quote di mercato,  sia più importante di acquisire nuovi lettori, quindi far crescere il fatturato. Stanno precipitando, ma, curioso, l’importante è farlo insieme, dandosi la mano, come quei paracadutisti giocherelloni che alla festa del paese si buttano dall’aeroplano. Un mondo nuovo sta delineandosi, i Direttori sono marcati a uomo dagli Editori, le redazioni sono pervase di tristezza, le grandi firme vengono ormai sopportate, la loro identità si fa sempre più sfumata, presto l’aut aut (o scrivete gratis o rauss). Nel frattempo, l’ascensore meritocratico è fermo al piano terra. Scrivono sempre gli stessi, sempre le stesse cose, spesso con la stessa superficialità, purché la purezza ideologica editoriale sia preservata e l’Editore esaltato. E i lettori? Zitti, zitti si ritirano o passano a giornali di nicchia, questi hanno equipaggi ridotti, spesso guidati da bucanieri.

E’ come avere 5 o 6 Pravda (non di regime, ma private) che danno (o non danno) le stesse notizie, con lo stesso taglio che puzza di politicamente corretto lontano un miglio. Che gusto c’è se io lettore normale (cioè non ideologizzato) so già quello che troverò in prima pagina, in diciottesima, e quello che non troverò mai. Quando compro il giornale già conosco la notizia alla quale il commentatore si riferirà: prima l’ho letta sui social, poi l’ho ascoltata alle Radio e alle TV, a volte mi accorgo che è già iniziata la sua manipolazione. Il cartaceo dovrebbe essere l’ultima istanza, commentarla un professionista di alto livello, indipendente, che con intelligenza e onestà intellettuale, rimetta a posto tutti i tasselli.

Spesso non è così, il pezzo è il solito bugiardino, più o meno elegante, prestampato, firmato dal noto “competente”. Una fake truth con uso calibrato di “parole di plastica”, coerenti con la linea editoriale. Alcuni colleghi sono bravi nel giocare, vuoi con lefake truth, vuoi con le “parole di plastica”, sanno o “candeggiare” o “rivoltare” le notizie in modo impeccabile. Per fortuna, la rete, con tutti i suoi limiti, e con tutte le sue volgarità, prima o poi le bugie le scopre.

Ho la sensazione che il mondo dell’editoria si rifiuti di capire, quindi accettare, il suo destino finale. Eppure per anni hanno esaltato proprio sui loro media (ricordate?) la mitica disruptive innovation delle felpe californiane, senza capire che un giorno sarebbe toccato a loro. Il mondo della comunicazione sta cessando di essere un “corpo intermedio” del potere, come sta succedendo a molti altri poteri (uno per tutti, i Sindacati). Questo aspetto lo vivo pure io, nella mia coscienza, piuttosto goffa, di cattolico.

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