La forza perversa del gender: sentirsi cane e trasformarsi in Lassie

Due casi di auto-percezione: l’uomo che gira vestito da donna e il giapponese a quattro zampe

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lassie trasformato

Il globalismo di rapina che gioca sulle suggestioni degli inganni ha convinto la gente che deve essere “quello che si sente”. Non quello che è, nietzschianamente: quello che si sente, fosse un supereroe o un animale o un mostro. Questo globalismo di rapina è il capolinea di una tendenza gender partita in anticipo, diciamo da una ventina d’anni, più razzista che elitaria, ma razzista nel censo, nei soldi fatti non importa come ma basta siano fatti: anche il crimine va bene, anche la totale perdita di dignità, per cui se sei dentro ci sei e se non riesci a entrarci non esisti.

Se poi per entrare devi vestirti da cane o da donna, essendo uomo maschio e etero, va benissimo perché provvede la televisione a dettare i modelli, come il prototipo Drusilla, maschio, etero, dice lui, senz’arte né parte fino a che non lo lanciano nel Sanremo fluido vestito da donna, e a completare l’infingimento provvedono i teppisti lessicali, quelli degli asterischi e delle vocali rovesciate, a teorizzare che anche nello scrivere e nel parlare non deve esserci una identità definitiva e quindi responsabile.

Il caso Stefano Ferri

Ecco allora l’emulo di Drusilla, tale Stefano Ferri che a 56 anni suonati gira per metropolitane e strade en travesti, tentando di epater le bourgeois come nel ‘68; e siccome c’è sempre qualche piccoloborghese rimasto all’epoca dei pruriti e degli ingenui stupori, basta trovarlo e poi montarci su il can can. Così arrivano i dieci minuti di notorietà che però non portano più a nessun affare apprezzabile perché così fan tutti. Chi è questo Stefano Ferri che finge di sdegnarsi se gli ridono in faccia? È uno che non vuole capire l’ovvio e cioè che dopo il culto di Priapo e delle baccanti, dopo tremila anni di travestimenti e almeno cinquanta o forse cento di società invertita, glam, travona o queer, all’inglese disinvolto, il ridicolo non sta nel travestito ma nel travestimento, per dire qualcosa di talmente malfatto, di talmente imbarazzante da indurre a compatimento e a divertimento. Non è la maschera ma il mascherone, l’andar girando come un fenomeno da fiera che fa scuotere la testa nella totale assenza di moralismi ormai morti come il Dio di Nietzsche e quello di Bergoglio.

Che cosa vuole, che cosa cerca questo esercito di laccati, di smaltati, di incerti per vocazione o per ambizione? Vuole emergere, vuole fare i soldi, tanti o pochi che siano, sapendo di non avere altre capacità; e l’affarismo globalista, che è di suo un travestimento, la mascherata orrenda del capitalismo delle cose e delle intraprese, lo blandisce, lo asseconda. L’ideologia woke, o gender, per cui uno “è quello che si sente” è roba da manicomio, induce a credere o fingere di credere allo scemo con lo scolapasta in testa che si sente Napoleone, ma lo fa più per calcolo che per ideologia; c’è tutto un mercato, in potenza colossale, che prescinde dai beni, dagli oggetti di consumo o meglio li usa come accessori alla vanità strampalata e pretenziosa.

La moda gender

Il vecchio Stefano Ferri che cerca vittime da scioccare non crede di essere una donna, si atteggia a donna perché vuole l’effetto influencer che è la chiusura del cerchio, sono i Ferragnez senza arte né parte che si fanno la villa dirimpetto ai Clooney, sul lago di Como, perché sono dentro, sono nel giro del soldo facile e come tali accolti dalla politica, dalla sinistra piddina che difende il reddito di cittadinanza e dal presidente della Repubblica che non tollera dissenso quanto a vaccini, a clima. Ma come mai sull’individuo, sulla sua sessualità, vige la autopercezione e sul clima vale solo la scienza infusa del presidente e di chi gli da ragione? Per dire la percezione a senso unico di chi dice è così e basta e se non sei d’accordo ti scarico all’ospedale o in galera.

Per approfondire:

Già, la dittatura della percezione funziona in una direzione: io sono libero di percepirmi Uomo Ragno, strega o unicorno ma tu non sei libero di percepirmi come credi, tu devi solo adeguarti. Devi credermi. Mentre io posso non credere a te. Che la società su simili basi sia destinata a implodere nel pandemonio, nel regno degli inferi l’abbiamo detto, che nessuno ci creda veramente è un altro paio di maniche. Non ci crede davvero il malato mentale giapponese che ha speso una fortuna per “diventare” un collie e si fa portare al guinzaglio, ma la merda degli altri cani non la mangia e presto o tardi si stuferà di crocchette che lo ammazzano lentamente; e non ci crede la malata di mente norvegese che si identifica in un gatto. Hanno semplicemente trovato chi ci casca, come la guitta Giorgia col ministro Pichetto, una che ha l’ecoansia ma sul profilo social scrive, alludendo alla Meloni: meglio maiali che fascisti.

Questo postcapitalismo dei miraggi si regge sulla menzogna sapendola tale, postula l’assenza, se non il divieto, di una sessualità certa, convince i giovani e i giovanissimi che si fanno drogare, si fanno stravolgere gli ormoni e magari evirare o amputare da chirurghi delinquenti, Stranamore senza scrupoli e subito dopo si pentono, danno la colpa al sistema mediatico con le sue suggestioni malate. Ma il sistema mediatico è intrecciato con la politica ideologica che dipende dal mercato dei desideri e del laido. Prova ne sia che nessuno si identifica mai nelle figure del filantropo o del martire, del generoso, di quello che si sacrifica per la collettività, l’autopercezione è sempre, inesorabilmente egocentrica, sul narcisista patologico.

Il mercato dei sogni e degli incubi è a suo modo geniale: prima distrugge la moda, riducendola a baraccone di luna park, azzerando le differenze nei generi, criminalizzando l’idea stessa di una moda con la scusa che sarebbe antiecologica, che anche quella riscalda il pianeta; poi risolve dirottando fogge e accessori da umano a bestia, ad alieno, a mutante. Geniale ma miserabile perché proiettato sul tempo breve e brevissimo della percezione che non dura, che cambia come e più del clima. Mentre, come faceva dire Giovannino Guareschi a don Camillo, rivolto a Peppone: “Sotto il comunismo le donne hanno raggiunto la parità con gli uomini, non le distingui più, adesso si tratterebbe di lasciarle vestire da donna”. Oggi, la libertà è opposta ed è imperativa, vestirsi, atteggiarsi da ciò che non si è e non si può essere. Ma alla fine il desiderio di ritrovarsi, di abbellirsi torna sempre fuori perché è naturale e la natura seppellisce gli uomini con le sue brutture e dura, spacca il cemento della follia, la spunta lei.

Max Del Papa, 2 agosto 2023

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