La Polverini? Meglio perderla che trovarla

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Chissà che impressione fa ritrovarsi come l’unica persona di un gruppo parlamentare sfacciatamente corteggiato da un presidente del Consiglio pronto a comprare quanto più possibile in un Parlamento trasformato in un mercato di vacche? E fra l’altro, il tutto, fra lo stupore dei suoi compagni di cordata e dei media che proprio non se l’aspettavano, se è vero come è vero che il suo nome non circolava fra i possibili “traditori”; né ne aveva parlato con alcuno di loro, come stato corretto, e né tantomeno con Silvio Berlusconi che l’aveva lì voluta?

Perché questa è la situazione in cui si è trovata ieri Renata Polverini, ex e presto dimenticata presidente della regione Lazio, che ha deciso di votare la fiducia al governo Conte e passare armi e bagagli dalla parte della maggioranza più a sinistra della storia repubblicana. Lei che proviene addirittura dalla destra nostalgica (anche se, va detto, quella sociale). E allora uno è disposto a pensare di tutto: i più ingenui ai travagli che l’hanno assalita e alla fatica di mascherarli anche ai suoi intimi; i più perfidi (che spesso c’azzeccano perché è la realtà umana ad essere perfida) alla consumata capacità di muoversi nel buio, e depistare buttando fuori altri nomi, dei fantomatici “emissari” del premier di cui si è parlato in questi giorni sui quotidiani.

A noi che vogliamo essere ancora attaccati a certi vecchi ideali, che concavi e convessi almeno sui principi non riusciamo a farci, la domanda che sorge spontanea è un’altra: ma che ci faceva la Polverini in Forza Italia? Che cosa ha a che vedere il suo sindacalismo targato CISNAL di vecchia data, il suo popolarismo romano-“borgataro”, le sue simpatie destro-sociali, la sua consumata arte di potere nei governi e sottogoverni nazionali e regionali, sindacali e politici, con un partito che vuole essere liberale, liberista, europeista e garantista?

Vista da questo particolare punto di vista, forse la vicenda ha un suo lato positivo: aiuta quella chiarificazione del quadro politico che è da considerarsi quasi prodromica alla “ripartenza”, come si dice, di un Paese in declino. Chi scrive non è un moralista, né crede che quella del “tradimento” sia una categoria politica. Si può cambiare idea, e a volte sono le circostanze storiche a farcele cambiare. Ma tutto deve avvenire con gradualità, travagli intellettuali e morali, argomenti che non assomiglino a “residui” paretiani appiccicati lì a posteriori per giustificarsi. Anche per rispetto degli elettori che ti hanno votato.

Una cosa è evidente: senza un minimo di moralità pubblica, senza sanzione morale di amici e nemici, non si è affidabili e non si va da nessuna parte.

Corrado Ocone, 19 gennaio 2021

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