La schizofrenia degli antitrumpiani

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Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

Nella sua campagna di trumpofobia senza sosta – solo il 9 aprile due editoriali di due grandi firme, Gail Collins e Frank Bruni, sostengono l’una che il presidente americano vuole che vada poca gente a votare (“Trump Hates Having Too Many Voters”: Trump odia che ci siano troppi elettori) l’altro che Donald si sia alleato con un dottore titolare di una rubrica televisiva per seminare nuove falsità (The Unholy Alliance of Trump and Dr. Oz: la dissacrata alleanza tra Trump eil dr, Oz) – il New York Times ha scatenato ben due suoi inviati (Rick Rojas e Vanessa Swales) più cinque collaboratori locali (Mike Baker, Michael Crowley, Ana Swanson and Katie Thomas) per dimostrare che i “governatori” degli stati americani hanno di fronte, per colpa della Casa Bianca, un percorso molto stretto (“Governors Walk a Fine Line”).

I risultati dell’inchiesta del Times sono mediocri e a parte qualche sparata democratica sul fatto che il presidente non usa i suoi poteri di guerra, le posizioni raccolte sono segnate dalla consapevolezza delle contraddizioni reali che la politica di contrasto al coronavirus implica, innanzi tutto quella tra il salvare le vite umane e il consentire i mezzi per riprodurre la società. Il risultato più interessante di questa inchiesta è aver provocato un intervento, che il Times pubblica il 9 aprile, di Nikki Halley, già governatore della Carolina del Sud e poi ambasciatrice americana all’Onu, oggi tornata ai suoi affari prima di un probabile ritorno sulle scene politiche.

La Halley inquadra innanzi tutto la schizofrenia degli antitrumpiani più fanatici che accusano Trump di essere autoritario “yet, today, many of these same critics demand that he nationalize supply chains, deploy the military on our shores and shut down every town in America”: eppure oggi gli stessi critici gli chiedono di nazionalizzare le catene di produzione di materiali strategici, di schierare dovunque l’esercito sulle coste dell’Unione e di chiudere ogni città di America”. In realtà spiega la Halley “The coronavirus presents enormous national challenges that call for a strong federal response. But we should not lose sight of the essential role that states and governors must play. America is better served when presidents respect the diversity of states instead of dictating uniform solutions”: il coronavirus rappresenta un enorme sfida nazionale che richiede anche un forte intervento federale. Ma noi non dovremmo perdere di vista il ruolo essenziale che gli stati e i governatori devono svolgere. L’America è meglio servita quando i presidenti rispettano le diversità degli stati invece di imporre soluzioni uniformi.

La Halley poi esamina gli errori che i singoli governatori hanno eventualmente commesso, auspica un certo grado di spirito bipartisan quello che lei ha mantenuto con le presidenze democratiche quando era governatore della Carolina del Sud e ha dovuto affrontare catastrofi naturali, ma conclude: “Our Constitution has it right: Keep control and decision making close to the people”: la nostra Costituzione ha ragione, bisogna mantenete il controllo e la capacità decisionale vicina al popolo. Oggi si “face a painful challenge” si affronta una sfida dolorosa. Ma i governatori fanno “it best when Washington” il loro meglio quando Washington “not impose too much on them” non gli impone troppo.

Ci sono democrazie in cui prevale una logica centralistica (dalla Francia al Giappone) ma quando la storia non ti ha fornito la struttura necessaria per funzionare così, quando invece di re Sole e Napoleone, hai avuto una benemerita ma limitata dinastia come i Savoia e poi una democrazia che ha funzionato grazie a un benedetto ma limitante ruolo della Chiesa, è bene ascoltare la lezione americana e “Keep control and decision making close to the people”. Anche pragmaticamente si è visto come la Caporetto del Coronavirus è stata organizzata centralmente con le scemenze sul fascio-leghismo anticinese, con i sarcasmi sulle mascherine, con i pasticci della burocrazia nazionale (con annessi giochini di potere sulla Protezione civile, sulla Sace e così via), mentre il Piave l’hanno difeso, con tutti gli eventuali errori che magari andrebbero esaminati a “guerra finita”, governatori di ogni colore dai Fontana ai De Luca.

Questa è la lezione essenziale da sottolineare magari ragionando sulla ristrutturazione necessaria ma federale delle nostre istituzioni.  Forse in questo senso Beppe Sala il deludente sindaco milanese, quello dell’AperiCina, che preferisce occuparsi di pennarelli invece che dei vecchietti (come ci ha detto), ne ha – come l’orologio fermo che due volte al giorno segna il tempo giusto – ne ha detta una giusta quando ha invocato una nuova Costituente.

L’esperienza conferma che lo stato centralizzato italiano è irriformabile, ma probabilmente servono regioni più grandi delle attuali (forse quelle della Grande Italia rinascimentale per Carlo VIII: il ducato visconteo-sforzesco, la repubblica di Venezia, l’area medicea-pontificia e il regno delle Due Sicilie) accompagnate da una ricostruzione di “vere” province (quelle liquidate alla “cazzo” dai vari Bassanini e Del Rio), magari una trentina invece dell’ottantina attuale, che sorveglino ponti e collegamenti tra contado e città (tra Bergamo e Val Seriana per esempio), quelle cose che a enti più vasti sfuggono.

 

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