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La soluzione alla crisi energetica? L’ha trovata un tedesco (90 anni fa)

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Erano gli anni Trenta quando l’industriale e inventore dilettante nazista Franz Lawaszeck proponeva la sua soluzione al problema d’approvvigionamento energetico della Germania. Nel suo libro Tecnologia ed economia nel Terzo Reich, pubblicato nel 1933, scrive: «Gli impianti eolici possono costruirsi su larga scala. La cosa è tecnicamente ed economicamente possibile e potrebbe avviare importanti e vitali tipi di generazione elettrica che, grazie al vento – che è gratis – consentiranno disponibilità d’energia meno cara di quella che viene dalla generazione termica.  Il futuro dell’eolico non è nei piccoli mulini, ma in turbine molto grandi, alte almeno 300 metri e con pale dal diametro di 100 metri».

I nazisti furono entusiasti del progetto e nel numero del 24 febbraio 1932 del loro giornale preferito – L’Osservatore Nazionale – apprezzavano pubblicamente il «sensazionale discorso» dell’ingegnere nazista Hermann Honnef le cui turbine d’acciaio promettevano energia abbondante e a buon mercato. Ecco il progetto: «Il surplus d’elettricità dalle pale eoliche, localizzate lungo le coste, saranno usate per la produzione, quasi gratuita, d’idrogeno, il che renderà molto più economica la produzione di molti altri prodotti. Il prezzo dei fertilizzanti s’abbatterà».

Decorare il paesaggio con gigantesche turbine eoliche era quindi un sogno nazista. Purtroppo la cosa si arenò non appena i tedeschi fecero i calcoli, che prevedevano l’uso di 25 mila tonnellate d’acciaio per ogni torre, cosicché nel 1936 seppellirono il progetto. È una gran fortuna che esso fosse disseppellito meno di 90 anni dopo nel contesto della «Transizione energetica», questo meraviglioso schema di sostituire i combustibili fossili con l’energia dal vento e dal sole.

Ma il “contributo” del nazismo a quella che sarà la moderna industria del clima andava oltre. Uno dei primi promotori della teoria del riscaldamento globale d’origine antropica fu Hermann Flohn, primo dirigente meteorologo in servizio nell’Alto Comando dell’aviazione del Führer al quale ebbe modo di fornire ottimi consigli in ordine all’operazione Barbarossa, con la quale i tedeschi si proponevano di occupare la Russia. Già nel 1941 Flohn pubblicava l’articolo titolato «L’attività dell’uomo come fattore climatico». Naturalmente si prospettava il pericolo del riscaldamento globale, in atto, allora, da 30 anni. Però siccome seguirono anni di rinfrescamento globale (sarebbero stati quaranta, dal 1940 al 1980), Flohn fu dimenticato anche se rimase attivo fino almeno il 1980 avvertendo del pericolo del riscaldamento globale. Peccato che il Comitato Nobel non s’accorgeva di lui e aspettò fino al 2007 per dare il Premio (ad A lGore e all’Ipcc). Comunque sia, fu una gran fortuna che nei successivi vent’anni il pianeta avesse ripreso a scaldarsi, cosicché chi voleva poteva riabilitare Flohn.

E alla Ue non hanno mancato di farlo, né il successivo rinfrescamento degli anni 1998-2018 dette qualche ripensamento a nessuno, però ci si è cautelati decretando che il pericolo non sarebbe più il riscaldamento globale ma il cambiamento climatico. Subito convertito in crisi climatica non appena ci si rese conto che il cambiamento climatico c’è da sempre. Ma non sottilizziamo.

Anzi, siccome vogliamo dare a ciascuno il suo, non possiamo tacere che il lodevole impegno ambientalista fu sempre vivo tra i nazisti. Himmler si cibava solo di prodotti d’agricoltura biologica, lo stesso Hitler era essenzialmente vegetariano, come Greta oggi ammonisce, e Hermann Göring, il luogotenente di Hitler, proponeva – giustamente, no? – di spedire nei campi di concentramento chi commetteva atti violenti sugli animali. Tutte queste cose le ho apprese da un articolo di James Delingpole, autore di un agile libretto titolato Watermelons.

Franco Battaglia, 9 luglio 2022

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