La truffa mediatica delle Sardine

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Chiudete per un momento gli occhi e immaginate. Salvini presidente del Consiglio in un governo di destra-centro. Si vota in Veneto, dove la Lega è da sempre al governo locale. Zingaretti, capo del principale partito di opposizione, organizza dei meeting per sostenere la candidata locale, facciamo la Moretti. Questa sui giornali viene regolarmente definita fatina muta, valletta, «una con un bel culo» e basta. In più, ogni volta che Zingaretti si reca in Veneto si trova contestato da militanti leghisti, nascosti sotto la veste di movimenti spontanei.

Che cosa si direbbe in questo caso? Che il governo, sia nazionale che locale, sta intimidendo l’opposizione, facendo pressione perlomeno psicologica (ma a Bologna l’altra sera i centri sociali volevano impedire l’accesso al Pala Dozza). Questo scandalo, cioè di forze governative che stanno ostacolando la campagna dell’opposizione, invece nessuno, fino ad ora, mi sembra l’abbia fatto notare.

Che infatti dietro le «sardine» vi sia il Pd e più in generale le varie casematte di sinistra è confermato non solo da firme su riviste e da fotografie de vari leaderini con esponenti piddini, ma dalla semplice logica. Vi pare che in un territorio in cui il Partito, con la P maiuscola, controlla ancora ogni lembo, in città che sono tutte a media dimensione, anche la stessa Bologna, quindi con un capillare conoscenza delle persone, si possano riempire le piazze senza che questi lo sappia? E si può essere cosi ingenui da credere che, poiché tale piazza si anima per far vincere il candidato piddino, il Partito non faccia nulla per aiutarlo?

Suvvia: durante la campagna del 1948 circolava un manifesto dei Comitati civici della Dc in cui una bella ragazza strappava la maschera ad un aitante ragazzo, sotto la quale spiccava un volto demoniaco: «ti conosco mascherina» recitava per nulla spaventata la fanciulla. Mascherarsi dietro la società civile, i giovani, i non politici, gli spontanei, è una vecchia tecnica del comunismo: dai Fronti popolari degli anni Trenta ai Partigiani della Pace negli anni Cinquanta. Ma dietro la colomba di Picasso s’intravedevano i baffoni di Stalin.

Ora, Zingaretti  non è Togliatti (gli piacerebbe!), il Pd non ha più la terribile forza militare di quei tempi, anche perché non riceve più  finanziamenti da Mosca, ma, soprattutto in Emilia, le tecniche sono rimaste le stesse. Certo, un po’ modernizzate. Prendiamo Modena. Il casting ha portato sulla scena due immigrati, una studentessa tunisina e uno studente libanese, sembra nato in Italia. Abile mossa: nessuno potrà rivolgerete la minima critica, che scatterà subito l’accusa di razzismo. Inoltre, la presenza dei due non italiani deve far capire senza ombra di dubbio dove stia il partito dei buoni.

Ma, se scosti un attimo Togliatti, oggi rischi di trovarci Tafazzi. Che immagine può dare agli stessi emiliani, gli unici a votare, un movimento composto in larga parte da studenti, molti dei quali neppure residenti in regione? E mandare avanti gli stranieri, non fa altro che confermare, a livello subliminale, quel che dice giustamente Salvini, che la sinistra, anche quella locale, pensa prima agli immigrati e solo poi agli italiani, in questo caso agli emiliani.

Last but not least, le piazze sono anti-Salvini, non anti Borgonzoni. Cioè tendono non solo a mettere al centro della scena e dell’attenzione Salvini, ma a nazionalizzare il confronto. Che è proprio quello che Bonaccini non vorrebbe: se lo scontro è locale, e resta B vs B (Bonaccini contro Borgonzoni) l’uscente potrebbe farcela. Se invece l’Emilia-Romagna è in piccolo una prova di Salvini contro Zingaretti, o dell’opposizione contro il peggior governo della storia d’Italia, allora non ci sarà partita.

Marco Gervasoni, 19 novembre 2019

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