La verità sull’estate che ci aspetta

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Il fregnacciaio sulle riaperture certe, certissime anzi improbabili è variegato, sfuggente ma riposa su leggende in perenne attesa di conferma; una, la più insistente, è retrospettiva, però in desolante bisogno, anche questa, di verifica. È quella che recita: l’anno scorso a maggio siamo tornati liberi e abbiamo passato una estate normale e così sarà anche quest’anno.

Davvero? In realtà, l’estate 2020 tutto è stata tranne che normale; se è vero che Dpcm più o meno punitivi non sono mai mancati; che isteria e stanchezza diffuse sono continuate; che è stato uno stillicidio di regolamenti, prescrizioni, obblighi, divieti uno più astruso dell’altro; che le rare occasioni pubbliche quali concerti, presentazioni, ritrovi si sono dovute svolgere nei modi e nei tempi più sacrificati, umilianti, impossibili, col servizio d’ordine degli improvvisati che dava i numeri, che aggrediva i malcapitati sorpresi a sorbirsi una bibita, con gli assembramenti deliranti al baretto, con le platee mascherate; che i ristoranti erano reclusori suddivisi in tavoli incapsulati in plexiglas; che i distanziamenti erano ferrei e deprimenti; che sui mezzi a lunga percorrenza, come treni, aerei, navi, controlli e intimidazioni erano inevitabili; che i droni inseguivano dall’alto i bagnanti; che quella adorabile scassapalle di Daniela Martani non ha, come poi l’hanno fatta passare, bloccato un traghetto ma è stata bloccata lei, da gendarmi esaltati, in quanto restia a tenere a 35 gradi la sera di ferragosto una mascherina sulla faccia da sola dentro una automobile all’atto d’imbarcarsi su un traghetto che di conseguenza è stato tenuto fermo; che le spiagge erano invase da turisti mascherinati, i più idioti perfino nell’acqua del mare; che la guardia costiera imperversava sul bagnasciuga e la guardia forestale sui sentieri di montagna; che una grigliata di pesce era una impresa omerica; che chi scrive ha condotto uno spettacolo di auto d’epoca davanti a trecento martiri con bavaglio azzurro in faccia, allontanati oltre l’umana decenza (era il 23 di agosto e si è sputato sangue solo per metterla in piedi, quella manifestazione).

E la chiamavano estate. Ecco, se questo è il concetto di normalità della bella stagione, allora ci sta tutto, vale tutto, anche una replica altrettanto deprimente, se non di più, alle viste: però parliamo della normalità del manicomio. Le avvisaglie, del resto, non sono per niente incoraggianti: si subordina tutto all’afflusso dei vaccini, ma i vaccini tardano e l’organizzazione fa acqua da ogni parte; gli annunci di riapertura sono vaghi, ambigui, all’insegna del “la prossima settimana potremmo eventualmente confrontarci su un calendario di riaperture parziali, scaglionate, sorvegliate, ma dipende dalla curva pandemica, dalle somministrazioni, dalle coincidenze esoteriche”. E già certi giornali di regime strillano che “riaprire in anticipo (ovvero in giugno) sarebbe pericoloso”. E già i virologi katanga danno i numeri per negare qualsiasi spiraglio. E già la sempre meno lucida cancelliera tedesca vorrebbe incancellarci ancora tutti, che il diavolo se la porti. E fermo restando che, esattamente come un anno fa, tutti saranno subito pronti a richiamarci all’ordine di clausura, magari incolpando gli sconsiderati che due mesi prima erano andati a sculettare in discoteca. E un anno fa non c’era ancora la psicosi nella psicosi, quella proprio dei vaccini, dei passaporti vaccinali, dei sieri che immunizzano, però anche infettano, però il richiamo, però vaccinato non vuol dire non contagioso, però la mascherina ci vuole lo stesso, però nessuno abbassi la guardia, però merda.

Ed è di questa, infatti, che anche l’estate che verrà sarà fatta nello scenario migliore cioè ammesso e non concesso che tutto fili liscio, il che, dati i precedenti, avrebbe del prodigioso. “La quale”, come concludeva Peppone, chi si contenta gode, però smettiamo di raccontarci balle, a pendolo tra passato e futuro.

Max Del Papa, 16 aprile 2021

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