L’ambientalismo? È il nuovo socialismo

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Il nuovo conformismo è l’ambientalismo. Ma l’ambientalismo è anche il nuovo socialismo.
Il socialismo cambia continuamente pelle. Prima vennero gli operai. Andò male al punto che nelle fabbriche del nord passarono tutti a destra. Poi esplose la questione dei diritti con battaglie partite bene e finite male a causa del ridicolo politicamente corretto. Quindi venne l’immigrazione incontrollata: ha messo in fuga gli ultimi elettori. Il sussulto finale è stato per l’Unione europea, istituzione che scalda solo i cuori di chi la maledice. Ora tocca all’ambientalismo apocalittico.

Ne volete una piccola ma significativa testimonianza: gli attivisti hanno invaso il red carpet della Mostra del cinema di Venezia per protestare contro la scarsa coscienza ambientalista della Mostra e contro le grandi navi in laguna. Sul secondo punto niente da dire: ha ragione chi protesta, a mio avviso. Il primo è comico: la Mostra fa la Mostra, e piuttosto bene. C’è però una cosa. Le facce sul red carpet sono ancora quelle dei soliti centri sociali, sempre abili a capire cosa “tira” a sinistra e in questo caso utili idioti del mercato che dicono di contestare.

Prima di proseguire, due precisazioni indispensabili. 1. Un uomo di destra non può non avere una coscienza ecologista. Si deve conservare, in primo luogo, la natura. 2. Non c’è alcun complotto. L’approccio apocalittico è gradito ad ambienti industriali e politici che agiscono in piena luce. Non è sicuro che gli interessi di questi ambienti coincidano con quelli delle masse in preda alla crisi economica.
La teoria è la seguente: ciascuno deve dare il suo contributo ma il riscaldamento globale si vince soltanto con l’intervento della politica. Tocca alla politica ridurre le emissioni, incentivare la green economy, rinunciare alla crescita, scegliere lo sviluppo sostenibile e infine creare una società più giusta fondata sull’uguaglianza, non solo nell’opulento Occidente o in Cina, ma anche e soprattutto nei Paesi che cercano di uscire dalla arretratezza. Voilà, il socialismo in salsa globalista è servito. La politica ovviamente brinda. Toccherà a chi governa chiedere sacrifici e redistribuire la ricchezza agitando lo spauracchio dell’apocalisse imminente.
Anche le aziende stappano lo spumante: toccherà a loro rifornirci di nuove automobili, ad esempio, usufruendo magari di incentivi fiscali per convertire la produzione (e i consumi) in senso green. Nelle speranze di politici e capitani d’industria, questo cambiamento fornirà la spinta per uscire dalla grave crisi economica che incombe sul mondo occidentale dal 2008. Le istituzioni sovranazionali esultano e sperano di acquisire finalmente un ruolo incisivo mangiandosi altre fette succulente di sovranità degli Stati tradizionali.

Alessandro Gnocchi, 8 settembre 2019

 

 

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