Le due anime di Vasco Rossi: il genio e il cretino

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Oltre che vittima di certe leggi finanziarie, il ceto medio è anche da sempre il bersaglio preferito delle rockstar: la vera rockstar non può non oltraggiare la borghesia, perché è proprio per mezzo di questo oltraggio che afferma la propria personalità eccezionale e superumana. È dunque molto curioso che in Italia la rockstar per antonomasia sia stata, e sia, un signor Rossi: anche se poi, nel suo caso, la medietà del cognome è affiancata e riscattata da quel nome di battesimo con pochi precedenti. E basta questa drastica antinomia, in un certo senso, a racchiudere la sua personalità: perché tanto è ordinario, cafone e volgare il signor Rossi quanto Vasco è sensibile e carismatico. Ma non c’è momento in tutta la sua discografia che non sia frutto di questa coabitazione: in ogni album, in ogni canzone, in ogni strofa li ritroviamo entrambi, tanto diversi quanto inseparabili.

Difficile dire se nel suo pezzo forse più famoso, Vita spericolata, ci sia più del Vasco o del signor Rossi. Certo il signor Rossi si fa sentire: quanto è triste, ad esempio, la sua spericolatezza? Farsi un cicchetto al bar sotto le Due Torri a Bologna, e sai che sballo: già la città non è proprio New York, e poi solo qualche pover uomo senza uno straccio di prospettiva potrebbe immaginare quel localino come il crocevia di chissà quali personaggi illustri.

In Vasco Rossi convivono sempre due anime: il genio e il cretino. E nei loro confronti, la critica musicale italiana è passata da un eccesso all’altro: all’inizio ha visto solo il cretino, adesso vede solo il genio. Prima pesavano su Vasco Rossi una serie di vizi capitali e fu abbastanza facile additarlo come simbolo del dilagante qualunquismo. Adesso la rockstar ha scoperto e messo in atto un modo molto semplice per sopravvivere anche senza tessera di partito: vendere. A questo punto la critica musicale, messa con le spalle al muro, fa l’unica mossa possibile per neutralizzare la rockstar: la ingloba. La accetta come cantautore honoris causa, anzi come il più grande cantautore della sua generazione.

Vasco Rossi passa così nella fase in cui la ribellione non viene più raccontata, ma ricordata. Da rockstar a sockstar, divo in calzini e pantofole che ha ancora voglia di giocare, ma in fondo sa di essere un bambinone incapace di crescere. La provocazione si sposta, coerentemente, dalla droga a una più o meno confessata pedofilia; ma mentre la rockstar drogata portava fino in fondo la sua sfida al ceto medio, il problema del vecchio sporcaccione che guarda le ragazzine in tv è di non essere riuscito a crescere neanche dal punto di vista musicale. E ciò è comprensibile, visto che non ha mai nascosto la sua totale mancanza di studio e di tecnica: caratteristica utile per rivendicare la genuinità dell’ispirazione.

C’è chi ha avuto i Mick Jagger, i Jim Morrison, i Jimi Hendrix. A noi è toccato Vasco Rossi, e questo dovrebbe dirla lunga sui nostri rapporti con l’Impero. L’italian dream, come versione ulteriormente degradata del già ammuffito sogno americano, evidentemente prevedeva proprio questo: che un qualsiasi signor Rossi scoprisse che da noi il posto della rockstar era libero libero, e semplicemente fosse il primo a prenderselo.

Gian Paolo Serino, 7 giugno 2019

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