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Le operaie silurano l’armocromia di Schlein: “Elly? E chi è?”

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Stamattina leggi Antonio Polito sul Corriere della Sera e capisci che ai piani alti della sinistra, s’intende tra gli intellettuali e giornalisti sostenitori del partito, stanno facendo di tutto per trasformare la “gaffe” dell’armocromia di Elly Schlein in una grande intuizione comunicativa. Poi sfogli le pagine del Corsera di Torino e capisci perché da tempo ormai i dem non abbiano più davvero alcun contatto con i lavoratori, con gli operai, diciamo con la “classe di riferimento” di un tempo. Un cronista infatti è andato di fronte ai cancelli di Mirafiori a chiedere cosa ne pensassero della tonalità pastello-inverno di Elly e l’80% di loro ha risposto con un secco: “Elly Schlein? E chi è?”.

Certo, 20 operai intervistati non fanno un campione necessariamente rappresentativo. Però una indicazione la danno eccome. Primo appunto: per le operaie giovani, quelle che in teoria sarebbero il target della prima leader donna di un grande partito dem, la Schlein potrebbe tranquillamente essere una nuova concorrente del Gf Vip. Va un po’ meglio tra le lavoratrici più vicine alla pensione. Nina, operaia di 58 anni, nel suo scetticismo spera che Elly possa “risvegliare la sinistra” che da tempo ormai non si occupa “di politica industriale, occupazione e stipendi”. Speranza vana, signora Nina. Lo si è capito dalle prime uscite del segretario, più interessata ai diritti Lgbt che al lavoro, più incline a sposare la battaglia ambientalista che quella operaia. E lo ha capito Mary, 49 anni, convinta che se vuoi avvicinare i lavoratori, gli operai, la massa popolare, forse l’intervista a Vogue non è il migliore degli inizi. “Io certamente non userei i miei soldi” per l’armocromista “neanche se avessi il suo stipendio”, spiega Mary. E il motivo è semplice: altrimenti diventa evidente “che il suo status quo è diverso da chi vorrebbe rappresentare”.

Per approfondire

È così difficile da comprendere? Matteo Salvini vestiva in tuta e si faceva ritrarre seminudo su “Gente” nella speranza di piacere ai ceti popolari. Matteo Renzi scelse Vanity Fair perché è un magazine a più ampia diffusione nel tentativo di svecchiare un Pd sin lì governato da un Bersani un po’ all’antica. Ma concedersi a Vogue, rivista chic e patinata per eccellenza, quali vantaggi elettorali potrà mai portare? Può forse avvicinarti – come dice Polito – “alla classe media metropolitana, informata sulle tendenze e le mode, in evoluzione verso stili di vita più nordici, gelosa delle manifestazioni dell’individualità e dei diritti che ne conseguono, gender fluid e sessualmente libera”. Tradotto: il Pd della Ztl, solo un più glamour di Zingaretti e Enrico Letta. Radical chic non solo nei contenuti, ma pure nella forma.

Piccolo problema: con la “classe media metropolitana”, che mangia sushi, veste armocromata e tifa utero in affitto, forse conquisti le prime pagine dei giornali e le copertine delle riviste, ma difficilmente sfondi alle elezioni. Magari  ti acclameranno nelle rumorose piazze arcobaleno, per il 25 aprile o al gaypride. Poi però il rischio è che fuori dai cancelli di Mirafiori non sappiano neppure riconoscerti. Liquidandoti con un doloroso: “Elly Schlein? E chi è?”.

Giuseppe De Lorenzo, 30 aprile 2023

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