Minigonne a scuola: perché no

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Non c’è pace per la scuola italiana; non bastava il disastro dell’Azzolina frutto dell’improvvisazione dell’attuale governo che ha lasciato migliaia di studenti senza i banchi, costringendo alcuni di loro a fare lezione in ginocchio appoggiati con i quaderni sulle sedie come testimoniano le immagini circolate in questi giorni non degne di un paese civile, ma si aggiunge nelle ultime ore una nuova polemica nata dal Liceo Socrate di Roma.

Minigonne vietate

La vicepresidente del liceo romano ha infatti invitato le studentesse a non indossare le minigonne “perché ai professori cade l’occhio”, una motivazione sbagliata e non accettabile perché a un professore non può “cadere l’occhio” sulle proprie studentesse, generando numerose proteste da parte di alcune di loro che hanno deciso di presentarsi l’indomani in aula indossando la minigonna.

Una rivolta con tanto di manifesti ai muri della scuola con scritto: “non è colpa nostra se gli cade l’occhio” seguita dall’hashtag “stop alla violenza di genere”. La reazione delle studentesse ricorda quanto avvenuto pochi giorni fa in Francia dove le ragazze hanno avviato una campagna social e nelle scuole per ribellarsi alle parole del ministro dell’istruzione e di alcuni istituti che avevano vietato top, minigonne e magliette scollate.

Questione di opportunità

Al di là della dichiarazione sbagliata della vicepreside, questo episodio solleva anche un’altra questione; così come i ragazzi non dovrebbero andare a scuola vestiti in canottiera o con i pantaloncini da mare, allo stesso modo non bisognerebbe portare la minigonna in un’aula scolastica non per la motivazione addotta dalla vicepreside ma per una questione di opportunità nell’abbigliamento da indossare a scuola che non è un pub o una discoteca.

Colpiscono le parole del comunicato diramato dalle ragazze e dai ragazzi del Collettivo Politico Galeano e Ribalta Femminista in cui si invoca la necessità di “una rivoluzione culturale e sociale”. Peccato che questa rivoluzione sia già avvenuta nel 1968 e oggi ne scontiamo le conseguenze confondendo una battaglia sacrosanta e giusta come i diritti delle donne con la rivendicazione di indossare una minigonna a scuola. Il comunicato è l’emblema della confusione ideologica che alberga in alcuni giovani: “Andare a scuola in gonna è stata una risposta spontanea. Non ci interessa l’episodio singolo, questa è l’occasione per mettere al centro il ruolo della scuola e della comunità scolastica. La scuola è e deve essere una forza motrice nello scardinare la cultura che rende le ragazze e le donne oggetti e colpevoli”. Davvero recarsi a scuola in minigonna significa “mettere al centro il ruolo della scuola”?

La scuola, dicono gli studenti del Collettivo Politico Galeano e Ribalta Femminista, ha insegnato “a conoscere noi stessi e noi stesse ed essere liberi e libere di esprimerci”. Ben venga la libertà di espressione che è un valore sacrosanto ma ci sono regole da rispettare, nella forma e nella sostanza, e vestirsi in modo consono e adeguato al luogo in cui ci si trova è una di queste, altrimenti finiamo per applicare un principio relativista per cui non esistono regole che è il contrario di quanto dovrebbe insegnare la scuola.

Per evitare che puntualmente si ripetano polemiche di questo genere figlie dei nostri tempi, una soluzione ci sarebbe: introdurre le divise che rappresentano uno strumento educativo e democratico in grado di eliminare nelle aule scolastiche le differenze sociali nel vestiario degli studenti. Questa sì che sarebbe una rivoluzione, altroché le minigonne.

Francesco Giubilei, 19 settembre 2020

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