Miracolo: l’uscita di Giorgetti ricompatta il centrodestra

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The Perfect Storm, “la tempesta perfetta”, per parafrasare il titolo di un vecchio film con George Clooney. È quella che si è abbattuta nei giorni scorsi sul centrodestra italiano, nemmeno a dirlo alla vigilia di una importante tornata elettorale amministrativa. Fra notizie di indagini che escono come al solito “ad orologeria” e masochistici battibecchi fra le varie componenti di quella che sarebbe sulla carta una coalizione vincente, e che nei sondaggi è tutt’ora maggioranza nel paese, si è aggiunta inaspettata una sorprendente intervista a tutto campo di Giancarlo Giorgetti a La Stampa che è suonata ai più come una sorta di “fuoco amico”.

Non sappiamo, in verità, se Giorgetti, che è uno stimato e serio esponente di governo, sia stato frainteso dal giornalista, oppure sia stato troppo ingenuo; se quello che ha detto informalmente sia fino in fondo ciò che egli pensa o se addirittura la sua uscita sia stata studiata a tavolino. In verità, importa poco. Quel che conta è che essa potrebbe avere un effetto insperato, e a suo modo sorprendente, di cui i primi segni già si intravedono: riuscire, per  una sorta di eterogenesi dei fini, a ricompattare il centrodestra. Essa, infatti, ha scontentato, come era ovvio, Giorgia Meloni, che per sensibilità e visione ideale e tattico-strategica è effettivamente molto lontana dal ministro dello sviluppo economico. Ma nello stesso tempo l’ha anche spaventata: se mai la linea Giorgetti dovesse diventare quella del centrodestra, Fratelli d’Italia si troverebbe schiacciata fuori da ogni possibile maggioranza, in un ruolo di mera “testimonianza” che ella ha più volte detto di non sentire suo. Potrebbe anche risultare un partito con il venti per cento dei consensi, ma il suo futuro sarebbe non molto diverso da quello del Front National di Marine Le Pen in Francia. Perché allora far spazientire Matteo Salvini con piccoli dispetti (in verità reciproci) che, avranno pure le loro ragioni contingenti, ma assomigliano tanto alla cecità di chi per guardare il dito che indica la luna non vede l’astro luminoso nel cielo.

Ma il vero autogol Giorgetti lo ha realizzato quando, dopo aver individuato una prospettiva centrista, ha contraddittoriamente toccato un comprensibilissimo e sensibile nervo scoperto di Silvio Berlusconi. Proporre Mario Draghi al Quirinale ed escludere ogni possibilità di farcela da parte del Cavaliere, è irriguardoso verso quest’ultimo, cioè il vero Padre del centrodestra. Non solo: colpisce l’esponente più carismatico di quell’asse di centro che piacerebbe a Giorgetti e di cui Berlusconi non potrà che essere ancora una volta protagonista (anche perché è Forza Italia che è nel Partito Popolare Europeo a cui il ministro guarda).

In sostanza, per farla breve, le tre pecorelle smarrite che, presentandosi disunite all’appuntamento di domenica, stavano mostrando loro per prime di non credere nei candidati prescelti, si sono di colpo ricompattate. E Tajani, Meloni e Salvini hanno finalmente trovato il tempo per chiudere insieme, cioè con una manifestazione unitaria, come è d’uopo che sia, la campagna elettorale di Milano e Roma. Poi ieri è stato Draghi stesso a dare il pubblico “colpo di grazia”, si fa per dire, a Giorgetti, dicendo in conferenza stampa più o meno quel che dice Salvini in ogni occasione: che non lo si può tirare per la giacchetta perché ciò è irriguardoso sia verso il presidente della Repubblica sia verso il Parlamento che è sovrano e decide chi va al Colle.

Un ultimo elemento a latere: la sinistra, divisa e senza idea quanto mai, ha mostrato proprio in questi giorni, con il suo circolo mediatico-giudiziario, di sapere come sempre utilizzare fin troppo bene le sue “armi improprie” per neutralizzare l’avversario. Berlusconi, che compie proprio in questi giorni gli ottantacinque anni (auguri!), avrà rivisto all’opera negli attacchi a Salvini lo stesso metodo usato nei suoi confronti in passato. E anche per questo ci piace pensare che abbia detto ai suoi di serrare i ranghi.

Corrado Ocone, 30 settembre 2021

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