Né Finlandia, né Afghanistan: questa guerra ricorda la Corea

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In un articolo per il “Wall Street Journal”, Matt Pottinger, architetto della strategia di sicurezza di Donald Trump, ha identificato almeno tre bisettrici storiche sulle quali potrebbe svilupparsi l’odierna guerra tra Russia ed Ucraina.

1. La guerra d’inverno di Mosca contro la Finlandia nel biennio 1939-40. Al termine del conflitto, quest’ultima mantenne la propria indipendenza in cambio di concessioni territoriali e garanzie di neutralità.

2. La sconfitta militare dell’Unione Sovietica in Afghanistan nel 1979-89, fallimento che presagì quella che, da lì a poco, sarebbe stata la caduta dell’Urss.

3. La guerra di Corea 1950-53, scontro bellico che segnò il rischio di una nuova de-escalation, al tramonto di un tragico conflitto mondiale terminato da soli cinque anni.

Pottinger afferma che “il tentativo di conquista di Putin, la partnership con Xi Jinping” e Lukashenko, aggiungiamo noi, si avvicinano all’alleanza “tra Stalin, Mao e Kim Il Sung del 1950”. Anzi, sia nel conflitto coreano che in quello ucraino, gli invasori sbagliarono i calcoli dell’aggressione, presagendo una guerra-lampo e sottovalutando la determinazione della resistenza popolare.

Sotto questo profilo, fin dall’inizio dell’invasione di Mosca, il politologo americano Edward Luttwak evidenziò il numero esiguo di truppe russe che, secondo le voci più ottimistiche, avrebbe potuto far presagire ad un’invasione circoscritta alle regioni di Luhans’k e Donetsk, ma non sicuramente ad un conflitto su larga scala. Tanto per rendere meglio l’idea con qualche paragone storico, gli Stati Uniti diedero inizio all’intervento militare del 2003 in Iraq con più di 300 mila militari, mentre in Vietnam si toccarono punte di oltre mezzo milione di truppe.

Insomma, all’indomani del ventottesimo giorno del conflitto, l’effetto guerra-lampo desiderato da Vladimir Putin pare essere tramontato. Lo scenario attuale apre la strada ad una guerra estenuante, fatta di combattimenti nelle strade, come già avviene nell’assediata Mariupol, nonché da attacchi e contrattacchi, come quello messo in atto dalle forze ucraine di Kiev nelle ultime ore. L’aggredito continua a resistere, inaspettatamente e contro ogni previsione.

L’Ucraina di oggi è la raffigurazione geopolitica di due ideologie diverse, di due mondi diametralmente opposti. Da una parte, il blocco occidentale, formato da Usa ed un’Europa allargata dopo la caduta dell’Unione Sovietica; dall’altra, il blocco costituito dai regimi asiatici: Russia, Cina, Bielorussia e Corea del Nord – che non partecipa direttamente al conflitto, ma che ha votato contro la condanna dell’invasione russa in sede Onu. L’Ucraina incarna perfettamente la divisione ed il contemporaneo miscuglio tra democrazia e dittatura, tra libertà e coercizione, tra pluralismo e unanimismo. Come nella coreana Seul, nell’ucraina Leopoli vince ancora la democrazia; come a Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, a Donetsk trionfa il democratismo.

Non è neanche escluso che la guerra possa concludersi con una medesima fase di stallo: la stipulazione di un armistizio, più volte non riconosciuto, a cui non segue un accordo di pace. Il Donbass potrebbe diventare la nuova zona demilitarizzata europea, nonché il confine più teso della Guerra Fredda del nuovo millennio. In definitiva, il 38º parallelo d’Europa.

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