No Pass e progressisti. Le nuove frontiere del dogmatismo

L’era Covid ci ha regalato un nuovo dogma, le misure governative non devono essere messe in discussione

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di Lorenzo Cazzulani

Il dogmatismo conosce nuove declinazioni, nel post pandemia. Ma non solo: vecchie e nuove ideologie si scontrano e si mescolano, dando vita a risultati nuovi ma che odorano di classico. Nei salotti tv i No Green Pass sono amalgamati in un minestrone al cui interno risiedono fascisti, negazionisti, No Vax. È il dogma dei progressisti, che in questa loro nuova (ma vecchia) veste si riscoprono dogmatici di misure governative che, seppur legittime, è giusto criticare.

Cacciari, Agamben, Barbero: professori che sulle colonne di importanti quotidiani esprimono il loro dissenso con metodo e razionalità, oggi vengono ridicolizzati ideologicamente, nonostante non abbiano nulla a che fare con No Vax o fascisti. La loro protesta è di ordine giuridico, non tecnico-medico. La tendenza dogmatica è quella di mettere tutto insieme, in un minestrone informe, alzando il muro dell’ideologia. Altro discorso riguarda i violenti, quelli dell’assalto alla Cgil, per intenderci. Anche qui il dogma è la chiave per capire questi movimenti, nati nella realtà virtuale di Telegram e concretizzati nella violenza delle piazze italiane. Il dogma è ciò che appiattisce il ragionamento critico su di un polo: il risultato è inevitabilmente violento. Il dogma non crea ponti, ma porte di legno massiccio, quasi sempre chiuse a doppia mandata.

Giulio Meotti sul Foglio, conduce una battaglia contro il dogmatismo della comunità Lgbt, nonostante ricada anch’egli, talvolta, nel dogma. Riporta le testimonianze dei “canceled people”, coloro che sono stati radiati dal loro ruolo istituzionale dopo aver espresso un parere scettico nei confronti del pensiero comune riguardo ai temi Lgbt. Sono temi su cui una parte di attivisti non accetta scetticismi: o la pensi come loro o vieni esposto sulla gogna della pubblica piazza dei social. Professori e registi sono incappati in questo infausto e singolare destino. Meotti non discute tanto sui contenuti in sé, ma sul dogmatismo: se una posizione diviene ideologica porta al dogma, e quindi alla mancanza di pensiero critico. Ma cade nel tranello: leggendo i suoi articoli è facile accorgersi di quanto essi trasudino dogmatismo anti-Lgbt, polarizzando nuovamente la sua battaglia.

Tornando alla discussione sul green pass e l’obbligo vaccinale, questa presenta una netta polarizzazione nelle opinioni dei cittadini. Da un lato c’è chi la ritiene una misura liberticida, evocativa di regimi totalitari. Dall’altro, contrariamente, buona parte della popolazione vede il certificato verde come l’unico modo per vedersi restituita la propria libertà di stare in mezzo alla gente. Nonostante, forse, l’argomento più forte sia avanzato dai secondi, intestardirsi nell’obbligo può portare a conseguenze assurde, tendenti al dogma. È il caso della virologa Ilaria Capua, artefice dell’affermazione, qualche tempo fa, secondo cui «chi si tira indietro [dal sottoporsi alla vaccinazione], in caso di ricovero, dovrebbe risarcire i costi “non sanitari” degli ospedali: 1000/2000 euro al giorno». Un’uscita altamente discutibile.

D’altra parte, assistiamo spesso ad affermazioni di giornalisti che si collocano sul versante opposto, quello dell’intransigenza nella difesa della libertà, che accostano il green pass ai totalitarismi del passato: una posizione priva di senso critico e che fa leva sui dubbi del popolo meno colto, propenso a credere a chi si scaglia contro l’establishment usando un linguaggio semplice e diretto.

Da menzionare l’azione che i giganti della comunicazione, Twitter e Facebook, hanno intrapreso contro Donald Trump, l’indomani della vicenda di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, privandolo dei suoi account di comunicazione social. Iniziarono a delinearsi gli schieramenti tra chi riteneva la decisione ingiusta e liberticida, e chi invece sosteneva ragionevole e legittima la censura verso coloro i quali incitavano all’odio e alla violenza. I primi offendevano i secondi e i secondi insultavano i primi. Lo scontro ideologico era cercato molto più del dialogo critico. Offese e insulti: è questo, forse, il marchio ideologico del nostro tempo, a cui né la destra né la sinistra sembrano sfuggire.

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