“Non è il Covid di un anno fa…”. Perché va cambiata strategia sul virus

Con Omicron più infetti ma ospedali lontani dalla soglia critica. Eppure sembriamo sull’orlo del burrone

21.9k 44
generica_porro_1-1200

Che il Natale sarebbe stato “diverso” l’avevamo capito dalle norme introdotte dal governo, incapace di vedere i suoi due errori nella gestione dell’epidemia. E lo avevamo capito anche dal martellamento quotidiano che i giornali hanno messo in campo nei giorni che precedevano le feste. Se a Perugia, Milano, Roma e in quasi tutte le città d’Italia le farmacie sono state prese d’assalto per sottoporsi al tampone, un motivo ci sarà. Per Alberto Zagrillo è tutta colpa del “terrorismo giornalistico“, quello che noi da tempo chiamiamo la “liturgia del terrore”. Per Matteo Bassetti invece di un modo errato di “leggere” l’epidemia. Di sicuro, i media soffiano sul fuoco della paura senza ricordare che la maggior parte di chi si imbatte in Sars-CoV-2 non sviluppa sintomi e non vede neppure da lontano una malattia che nel 97,5% dei casi non porta al decesso.

Nel suo tweet contro il “terrorismo giornalistico”, la coda alle farmacie e la “morte del Paese”, Zangrillo sembrava suggerire di non focalizzare tutta l’attenzione sul numero di infetti. In fondo è lo stesso che pensa anche Francesco Vaia, direttore dell’Inmi Spallanzani di Roma, contrario al bollettino diramato ogni sera sul numero di contagi. Ciò che conta, dicono quasi inascoltati i due scienziati, sono gli effetti che la malattia ha su ospedalizzazioni e decessi. Ovvero: il tasso di ricovero in terapia intensiva e in area medica. Il report dell’Iss su questo punto è chiaro: “Il tasso di occupazione in terapia intensiva – si legge – è al 10,9%”, mentre quello di occupazione dei posti letto standard “è pari al 12,9%”. Direte: cifre enormi. In realtà lo stesso Iss stabilisce al 30% la soglia critica per le rianimazioni e al 40% quelle per l’area medica. Tradotto: la variante Omicron, per quanto diffusiva, non sta ancora intasando gli ospedali come nella fase critica dell’epidemia di un anno fa. E soprattutto siamo decisamente lontani da una situazione di allarme.

Eppure la percezione che si ha è quella di essere di nuovo sull’orlo di un burrone. I media continuano a battere il chiodo dei contagi, col rischio di gettare il Paese in una spirale da cui sarà impossibile uscire. “Con oltre 50 mila casi al giorno destinati a diventare molti di più nelle prossime settimane, dobbiamo vivere in maniera diversa la convivenza con il virus – prova a dire Matteo Bassetti – Ho seguito e sto seguendo centinaia di persone vaccinate con 2 o 3 dosi di vaccino che hanno il Covid. Ebbene queste persone hanno un raffreddore o una forma influenzale che dura 3-4 giorni. Nulla a che vedere con il Covid di un anno fa e con il Covid di chi non è vaccinato”. Dunque vigile attesa, ma niente psicosi.

“Chi è malato deve stare a casa – insiste Bassetti – come sempre si sarebbe dovuto fare per le malattie infettive contagiose”, ma dobbiamo finirla “con il tracciamento”. “Non possiamo continuare a mettere in quarantena e in isolamento forzato decine di persone (i contatti) per ogni tampone positivo”, spiega Bassetti, altrimenti potremmo presto trovarci “con milioni di persone isolate e in quarantena“. Gli effetti sull’economia sarebbero devastanti. “Il rischio – conferma il fisico Roberto Battiston – è che, applicando alla nuova variante le norme sulla quarantena e gli isolamenti fiduciari pensate in un’altra fase della pandemia, ci si ritrovi in un lockdown generalizzato di fatto, ma non deciso per decreto come quelli del 2020 e non calibrato sulla tenuta del sistema economico”. La soluzione? Smetterla con la liturgia del terrore ed iniziare a “convivere” col virus. “Usciamo dalla visione del Covid come malattia devastante – conclude Bassetti – e entriamo nella fase endemica con una malattia più gestibile (nei vaccinati) costruendo regole diverse. Altrimenti sarà durissima”.

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version