Politica

Non firma la lettera antifascista, la scuola la emargina: “Ho paura”

La storia di una professoressa (di sinistra), discriminata per non aver sottoscritto la lettera della preside Savino

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Oggi, 4 marzo, sabato antifascista dell’era di Elly Schlein che va a Firenze al concentramento democratico in difesa della preside Savino che nessuno ha mai insidiato, vi racconto l’altra faccia della democrazia comunista. Sta in un altro liceo, molto più a nord, che potrebbe gemellarsi col Michelangiolo, con quasi tutti i licei del paese antifascista: lì dentro la propaganda si respira, l’educazione civica è improntata all’Agenda antifà, può comparire dipinta una stella a 5 punte nella sostanziale complicità dell’ambiente – nessuno che si prenda la briga di cancellarla, si chiamano, si evocano i testimonial giusti, militanti, nostalgici.

Da qui non poteva non partire la letterina, patetica e strampalata, per la compagna collega antifascista fiorentina che sta in ambascia diciannovista: il pluralismo, ma a modo loro, la Resistenza, maiuscola per la Madonna, i valori irrinunciabili, tranne che sotto pandemia che la Costituzione si porta via, improntati a libertà di pensiero, non violenza, libertà di insegnamento. E qui arriviamo alle comiche, squallide, lugubri, essendo comuniste, ma insomma comiche, arriviamo al ridicolo, alla farsa davvero marxista. Perché nel tripudio e nel furore generale, una insegnante, una sola, s’è azzardata a credere sul serio nella sacralità del pensiero libero e non violento: meschina, non l’avesse mai fatto, mai pensato: “Ho risposto con bel garbo – ci racconta – che non intendevo firmarla poiché vi vedevo delle falle logiche, storiche e giuridiche”.

Finita la vita. La scuola che la emargina, la isola, la tratta da appestata. Quando entra in sala professori i colleghi mormorano, o esclamano, “sento puzza di fascista”, che è sempre un prodromo ad ulteriori e più gravi circostanze. Il disagio si tramuta in inquietudine, quindi in angoscia. La docente conosce i colleghi, alcuni fin dai tempi del liceo, sa chi sono, sa che militano nell’alone della contestazione romantica, che si producono su famigerati siti della sovversione storica. Voi non sareste preoccupati? Dice lei: “La cosa mi interesserebbe poco, non fosse che di alcuni non so valutare l’odio nelle sue possibili conseguenze. Speriamo in bene. Ma cosa faccio? Cambio istituto o resto per dignità? La coscienza mi dice fai la seconda cosa. L’istinto di conservazione mi dice di no”.

Per approfondire:

Ecco qua chi è davvero intimidito, velatamente minacciato, comunque pressato e chi passa da martire dopo una missiva militante e squilibrata nella quale scorge la nuova ascesa del fascismo da una rissa fra studenti: una provocazione che la sinistra politica e giornalistica sta cavalcando in modo osceno, non potendoci credere davvero. La preside Savino vede il ’22 alle porte ma non vuole ricordare che l’incendio alla prateria dei movimentisti, del partito guerriglia, del brigatismo partiva, quello sì, da presupposti apparentemente episodici, da Pecorile, dalla Stella Maris di Chiavari, dalle diatribe fra Superclan e Brigate Rosse in embrione, e si conclamava con le prime azioni dimostrative, i sequestri-lampo, gli incendi delle auto, le intimidazioni ai dirigenti Fiat o Sit-Siemens. Fino all’esplosione di un terrorismo durato trent’anni, fino a via Fani e via Caetani e oltre, alla mattanza democratica. Questo i presidi, i professori della democrazia alternativa non lo spiegano ai loro studenti, preferiscono invitare il legale di Cospito che del suo assistito fornisce ovviamente una immagine di perseguitato, da moderno Gobetti o Matteotti.

È la conferma, marmorea, che il comunismo non pass, almeno nelle sensibilità e nella pretesa autoritaria: identici sono i mezzi, fondati sull’intimidazione e sulla delazione, sul disprezzo, sull’emarginazione, sull’avvertimento strisciante. È anche la dimostrazione che quelle sulla sinistra vera e finta, sul Pd che non sarebbe sinistra, sulla autentica sinistra che manca, sono pippe da maniaci o da strateghi: il Pd che scende in piazza per Cospito e vede fascismo ovunque è il degno erede del Pci, il suo schierarsi senza cautela per una dei loro, una dirigente militante, tesserata, è la solita egemonia, la solita mafia interna alla scuola che non intende mollare di un centimetro e che nessuno si sogna più di smentire, tranne l’onorevole Ascani che a chi la denuncia fa dei gesti, delle smorfie, come a dire: ma che volete, ma che la fate tanto lunga a fare.

Anche l’insegnante rifiutata dal suo liceo è di sinistra, e votava regolarmente Pd. Solo, a un dato momento non ne ha potuto più di militanza a scuola, di revisionismo interessato, di falsificazioni sulla pelle degli studenti. “Qui dentro quasi nessuno mi difende. Il Preside fa il pesce in barile. I sindacati se ne fregano. A questo punto, posso dirlo? Io ho paura. Sono seriamente preoccupata che questa gente possa scatenare contro di me dinamiche negative (dentro la scuola lo fanno già, il mio timore è che facciano peggio). E non mi do pace che nessuno, avendone il potere e la responsabilità, non pretendo si schieri con me, ma se non altro attenui questa situazione che è già mobbing e mi si stringe addosso ogni giorno di più”. E non ho cuore di dirle che è un’illusa, che se mai lei funziona come il capro espiatorio perfetto, come la valvola di sfogo ideale.

Per approfondire:

Giuro che lì per lì non ci credo, mi sembra una fiction, un fumetto. Ma ricordo i trascorsi: anche ai tempi del banco, 45 anni fa, c’erano insegnanti non dico di destra, nessuno avrebbe potuto saperlo: semplicemente non praticavano la politica a scuola, si astenevano da qualsiasi suggestione: ed erano tenuti in fama di mostri, di fascisti, i colleghi ironizzavano persino sull’aspetto, cosa che facevamo pure noi cretinetti adolescenti, certamente, ma almeno in modo ecumenico: ce n’era per tutti, invece, a ripensarci, certi professori vivevano come barricati a scuola, all’ultima campanella sparivano e nessuno li vedeva più. Nessuno li salutava, nessuno si fermava a prenderci un caffè. Ridevo, magari approvavo: sta stronza. Adesso capisco. Anzi, è da un pezzo che ho capito.
Eccola qua la risacca fascista, cari, ecco le ragioni per le quali occorre la lotta continua, oggi, domani, sempre.

Oggi come allora, spaccare la testa a un fascio “non è reato”. Ovviamente fascista è chi fascista dico io che sia, può entrarci di tutto, uno che mi sta sui coglioni, di cui sono geloso, di cui non condivido i gusti, lo stile, il successo o più semplicemente il moderatismo a sinistra. “Io nella lettera di solidarietà ho visto dei buchi di contenuto e di ragionamento, delle forzature storiche: mi sono limitata a farlo presente: credevo di potermi confrontare, pensavo ci fosse spazio per una discussione”. Invece, tanto è bastato per “puzzare di fascio”, per doversi guardare le spalle.

Max Del Papa, 4 marzo 2023

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