Ora che serve, la rivoluzione non la vuole nessuno

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Sono entrato al liceo Carducci di Milano, spaurito ginnasiale, nel 1978, appena quattro mesi dopo l‘omicidio di Aldo Moro, il cui memoriale riposava, trafugato, in un covo proprio di fronte alla mia cameretta in via Monte Nevoso. Ne sono uscito maturo, per modo di dire, nel 1983.

Gli anni delle Brigate Rosse

Un’epoca dopo, apparentemente: la società sfibrata da quindi anni di terrorismo selvaggio tirava il fiato e si concedeva all’edonismo reganiano, alla Milano da bere, al riflusso, al neoindividualismo. Non ricordo in quei cinque anni una sola settimana senza picchetti, scioperi, manifestazioni “contro il regime”, un regime così ferreo che ci lasciava allegramente sprecare settimane e mesi di lezione. Ho fatto in tempo a ricordarmi il pensiero a senso unico, le botte e le spranghe – anche di questo serbo memoria – non solo per i fascisti militanti o simpatizzanti ma pure per chi semplicemente si faceva i fatti suoi. Alle assemblee ci andavo per ridere, far casino, tampinare le ragazze, non certo per sentire gli sproloqui dei compagni, in tutti i sensi, più esagitati.

Ne ricordo uno, invitava a “comprendere le ragioni delle Brigate Rosse” e una volta col mio vicino di banco Ugo andammo a trovarlo. Viveva in una magione incastonata nel cuore di Milano, nobile schiatta di facoltosi avvocati, salimmo a bussare e ci aprì la cameriera, anziana, in cresta e pettorina: “Il signorino sta riposando”. Ma si materializzava, il signorino, regale, “No, lascia, sono amici miei, falli entrare”. E ci guidava alla scoperta del maniero. “Vi faccio vedere la discoteca”. Come, la discoteca? Ma sì, aveva proprio una discoteca in casa, attrezzature per la musica da qualche milione di lire. Nel 1981. Io e il mio compare guardavamo senza poterci credere.

La sinistra e la dittatura sanitaria

Oggi, anno di disgrazia Duemilaventuno, ascolto un gran silenzio di fronte al regime che questa volta c’è: ci tiene segregati da un anno e adesso, tramite le veline dei giornali di servizio, quasi tutti, fa sapere che ci aspettano altri 100 giorni di chiusura “per tornare alla normalità”. Estensibili perché non si sa mai. Quante volte l’abbiamo sentita questa fandonia in dodici mesi? Intanto la società si è dissociata, il paese non esiste più, trecentomila attività morte nell’anno archiviato e chissà quante in quello appena nato. Così uno si chiede: dove sono finiti gli antagonisti, gli insofferenti, i ribelli?

Passano al telegiornale le timide, educate proteste degli studenti che vorrebbero tornare “in presenza” e si capiva che, dovendo manifestare contro un governo votato dai genitori, di sinistra, non ce la cavavano, lanciavano qualche slogan patetico, qualche canzoncina dagli altoparlanti ma educati, domati, anche questi già politicanti, attenti a non esporsi, a non nominare nessuno. Noi ce la prendiamo sempre con la sinistra radical chic, pariolina, benestante e così caschiamo nel tranello di quella stessa sinistra che a mantra ripete: ma quella ha tradito, non è la vera sinistra, dal che si arguisce che per costoro la vera sinistra è quella nostalgica, piani quinquennali e statalizzazione di tutto a cominciare dal pensiero. Ma più di così? Non è vera sinistra? O è la autentica, schietta sinistra che va finalmente realizzandosi?

Nel disprezzo verso i poveri veri, nella rappresaglia verso i lavoratori autonomi, nel controllo paternalistico che all’occorrenza si fa feroce, nella censura spacciata come democrazia, nei deliri di quanti, da Severgnini a Lerner tale Cristian Rocca, trovano che tappare la bocca a Trump non è solo giusto, è doveroso, doveva esser fatto prima, anche qui, anche da noi deve parlare solo chi ha la patente di stato, collaborazionista e delatore, nei divieti di lavorare, di uscire, di studiare, di vivere, nel trionfo della burocrazia inconcludente, nel dominio della scienza zdanoviana, nell’accentramento del potere oltre la Costituzione, nell’approccio forcaiolo per i dissidenti, la vera sinistra si smentisce o si palesa?

Poi, certo, si potrà dire che le dittature sono tutte uguali, che non ha senso scomodare categorie novecentesche, ma è un fatto che il regime che c’è sale da sinistra, tradisce smanie e tetraggini di sinistra a cominciare dalle facce degli Speranza, dei Boccia, degli Zingaretti, dei virologi sessantottini: che facciamo? Non è, questa loro, una concezione del potere e della democrazia che discende dall’autoritarismo ideologico? La censura che si sta sviluppando a dimensione nazionale e sovranazionale non deriva forse da democratici di sinistra, reali o sedicenti cambia poco, di nome Zuckerberg, Besos, Dorsey, i santoni della Silicon Valley inzuppata nel neoprogressismo lucroso e a parole sociale? Intendiamoci, qui nessuno vagheggia la lotta armata, tutt’altro. Non noi quattro gatti liberali, almeno.

I “cattivi maestri” ora tacciono

È curioso, però, che proprio i più ambigui al riguardo non trovino nessun presupposto dopo un anno di negazione praticamente di tutte le libertà democratiche, un anno che minaccia di dilatarsi per un altro anno. Insomma dove stanno? Maestrini cattivi o pessimi della rivolta strategica, figli putativi, padrini del movimento Noglobal ormai ingrigiti e impanzaniti, carrieristi dell’antagonismo parolaio: come mai di colpo non fiata nessuno? I centri sociali sembrano case di riposo, i kollettivi scolastici dormono, gli antagonisti di professione fiancheggiano, le ex tute bianche o nere, quelli che abitualmente flirtano con la rivolta più o meno armata, languono, gli intellettuali di conserva, gli scrittori da officina, i cantanti contro il mercato, anticapitalisti, i guitti militanti, i poeti irriverenti, non trovano niente da dire su niente, al massimo condannano il popolo. Perfino le sardine, pronte a far branco addosso al Salvini che citofonava alla caccia di spacciatori, oggi che mandano i gendarmi fin dentro le case non guizzano più. La stessa Liliana Segre, così garrula, onnipresente, instancabile nel denunciare il rigurgito fascista, di colpo distratta, assente. Com’è che il regime che ci tiene tutti in galera non lo vedono, come si spiega che, dopo aver visto la dittatura ovunque, pure nei pensierini dei Baci Perugina, adesso gli sta bene tutto?

Non c’è solo la gauche caviar o a far le fusa, ronfante davanti al caminetto: ci sta pure il popolino del quale don Bastiano direbbe “figli miei, voi non contate un cazzo”. Nell’arcipelago di sinistra, falsa o vera che sia, nessuno si muove, nessuno si erge, nessuno sbotta. E si spiega: bene o male il regime è percepito come amico, fa parte dell’album di famiglia, molti tirannelli di oggi erano ieri a sinistra del Pci e quasi del Partito comunista cinese, come dice Fantozzi. E tra amici, alla fine, ci si comprende, ci si mette d’accordo.

Non disturbare il manovratore! Immaginiamoci se solo un millesimo di questo filo spinato lo avessero steso quelli altri, quelli che vengono paragonati a Hitler e allo Sciamano, diciamo le opposizioni fin troppo timide ma esecrate in quanto esistono dai custodi dell’ortodossia. Così gli insofferenti sono diventati collaborazionisti, gli insurrezionalisti si sono messi la divisa degli uomini d’ordine. Sì, va bene, sarà un periodaccio, ma anche l’oppressione per qualcuno è più uguale e per molti perfino virtuosa. Libidinosa.

Max Del Papa, 15 gennaio 2021

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