Per favore, non chiamateli “costruttori”

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Questo non è un pezzo, questo è un appello alla resistenza (rigorosamente minuscolo) linguistica, filosofica, civile. Non chiamiamoli “costruttori“. Bandiamo la parola perlomeno dalla nostra contea anti-mainstream, dalle nostre analisi, dalle nostre griglie interpretative, perfino dalle nostre battute.

La neolingua in soccorso di Conte

I “costruttori” non esistono, dannazione. O meglio, rappresentano una spettacolare operazione di neolingua politicamente corretta, atta a trasformare l’abituale verminaio delle trattative che precedono un incerto voto di fiducia in una nobile ed inedita operazione a tutela delle magnifiche sorti e progressive dell’Italia. Nessuno scandalo, che la politica sia spesso “sangue e merda” ce l’ha detto uno che la praticava quando, se non propria arte, era ancora finissimo artigianato, Rino Formica. Ma le cose devono avere i giusti nomi, e non ci possono spacciare il secondo elemento del binomio formichiano come tisana di lillà.

Invece, la parolina magica per indicare i desperados del Senato pronti a gettarsi in soccorso del governo Conte-Travaglio-Casalino in un giorno è già ovunque, nei comunicati dei ministri, negli editoriali dei giornaloni, nelle tendenze Twitter, vive di una propria vita autonobilitante. Luigi Di Maio, che è sempre il più sveglio di tutti quando si tratta di studiare escamotage per non tornare a distribuire bibite al San Paolo, l’ha buttata là subito: “Il mio appello si rivolge dunque a tutti i costruttori europei che, come questo governo, in Parlamento nutrono la volontà di dare all’Italia la sua opportunità di ripresa e di riscatto”.

Gruppo Maie-Italia 23

Ed ecco che spunta il contenitore per questi eredi dello spirito degasperiano, sotto forma del neonato gruppo al Senato Maie-Italia 23. L’obiettivo lo ha spiegato Ricardo Merlo, presidente del Movimento degli italiani all’estero: “Costruire uno spazio politico che ha come punto di riferimento Giuseppe Conte. Non cerchiamo responsabili, ma costruttori, a cui l’unica cosa che offriamo è una prospettiva politica per il futuro, per poter costruire un percorso di rinascita e resilienza, nell’interesse dell’Italia”. Dai responsabili per la poltrona ai costruttori per la resilienza, è un cambio di set, si gira tutto un altro film, d’altronde il regista è il forbito avvocato in pochette, mica quel caimano evasore di Berlusconi.

E difatti l’elzevirista chic Stefano Bartezzaghi ci sforna sulle chiccosissime pagine di Repubblica una dotta dissertazione su questa “nuova metafora dell’edilizia politica”, che “può distinguersi dalla tradizione popolare dei responsabili alla Razzi e Scilipoti”. Senza contare che “l’anagramma della parola “costruttore” è “tutto scorre”, un omaggio eracliteo alla tipica fluidità della politica italiana”, e certo, tutto scorre soprattutto nelle tasche dei parlamentari che passano la nottata e con essa la legislatura, come da sempre nell’eterno trasformismo italico, ma volete mettere, questa volta c’è il timbro di Eraclito.

Perfino i vescovi danno il loro autorevole contributo alla nuova retorica nazionale, per bocca del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti: “Trovo un forte stimolo nelle parole pronunciate proprio dal Presidente Mattarella nel messaggio di fine anno: questo è tempo di costruttori. Aggiungo: questo è anche tempo di speranza!”. Non specifica se la speranza sia quella che ci siano a Palazzo Madama i 161 voti per Giuseppi, ma è sottinteso. E, in ogni caso, si richiama espressamente al momento fondativo di questa retorica: il discorso di Capodanno del capo dello Stato. Come ha scritto su questo sito Marco Gervasoni, per capire le carte che ha in mano Conte (che di suo sarebbe un oscuro avvocato di Volturara Appula) in questa mano finale, bisogna guardare in direzione Quirinale.

Non a caso Mattarella battezzò così la pseudocategoria politica su cui sola si reggerà l’accrocchio estremo del Conte Ter: “Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova”. I più distratti scambiarono queste frasi per la solita enfasi quirinalizia pre-prandiale. Invece, era il primo mattone dell’operazione neolinguistica. Oggi, i “costruttori” che si precipitano a puntellare la baracca giallorossa possono sventolare le consegne della massima auctoritas della Repubblica.

Cosa resta, a noi che ci ostiniamo a dimorare nella realtà piuttosto che nella sua caricatura propagandistica, a noi che anche sforzandoci non riusciamo a scorgere alcuna differenza ontologica tra Scilipoti e i suoi eredi edili, a noi ultimi miscredenti nell’era della resilienza costruttiva nell’interesse del Paese? Quantomeno, il rifiuto, la possibilità residuale di dire di no, l’esilio volontario dal vocabolario taroccato. Non chiamiamoli, mai più, “costruttori”.

Giovanni Sallusti, 16 gennaio 2021

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