Per la sinistra italiana conta solo eliminare il nemico

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Non appena la destra, cioè i conservatori e i moderati, trovano uno o più capi, la sinistra vi si scaglia contro e per lei più nulla conta se non eliminare politicamente (ma, se occorre, anche fisicamente) il nemico politico. Questa regola, rispettata negli ultimi anni con il Cavaliere e oggi con Matteo Salvini e con Giorgia Meloni, vale anche per oltre Oceano, dove, prima con Bush jr. e oggi soprattutto con Trump, l’ossessione prima è quella di liberarsi del cattivo. Con tutti i mezzi, a cominciare da quello giudiziario.

Non tutta la sinistra però. Sentite qui: «Il partito democratico, in piena collusione con l’apparato dei servizi segreti, riuscirà questa volta a deporre il Presidente Trump in quello che potrebbe essere chiamato un colpo di stato senza spargimento di sangue?». Sono parole di Patrick Lawrence, non un die hard trumpian ma un un editorialista del settimanale di sinistra The Nation. Sullo stesso tono, il mensile più intelligente dell’estrema sinistra americana, The Jacobin, che non bisogna mai dimenticare di leggere – da non confondere però con la sua scialba versione italiana.

Per i radical e neo marxisti americani, che si ritrovano in Sanders, eliminare per via giudiziaria Trump sarebbe peggio che un crimine, sarebbe un errore. I democratici tornerebbero eventualmente al potere, vincendo le elezioni, illudendosi che Trump sia stata una parentesi, e che si potrà continuare nella vecchia linea clinton-obamiana, E avere, per Nation e per Jacobin, un presidente dem che persegua le stesse politiche di Trump, cioè di destra dal loro punto di vista, solo con più eleganza e in modo politicamente corretto, sarebbe molto peggio che avere di nuovo Trump. In ogni caso, aggiunge il direttore del Left Business Observer, Doug Henwood, citato in un pezzo di Ted Rall («Wall Street Journal» 24 novembre) «Trump deve essere battuto nelle elezioni».

Ah, se avessimo anche da noi una sinistra così. Che sarebbe sempre comunque nostra avversaria, ma un avversario serio, leale, meritevole di rispetto. La nostra invece, tra le due vie, sconfiggere l‘avversario democraticamente e farlo fuori con colpi di mano (della magistratura, dell’Unione europea, ecc), ha sempre scelto la seconda, essendo del resto incapace di perseguire la prima.

Ancora oggi, con il cosiddetto movimento delle cosiddette sardine, siamo entro questo orizzonte: demonizzazione moralistica dell’avversario, assenza di programmi e visioni, sola esigenza far fronte contro di lui, sempre additato come «pericolo per la democrazia». Ed è la stessa ragione per la quale si è formato il governo Giuseppi, che appunto io chiamo scherzosamente Cagoia: la paura e l’ossessione per Salvini.

Quando cadde il governo Conte I, su queste colonne mi chiesi che fine avrebbero fatto i Saviano, le Murgia, i Carofiglio e tutta l’allegra (si fa per dire) brigata dell’antisalvinismo. Pensavo che si sarebbero dedicati a scrivere opere più interessanti o che avrebbero iniziato a sparare nel loro stesso campo. Mi sono completamente sbagliato nella prima previsione e solo in parte nella seconda. Li ho invece sottovalutati nella loro capacità di raccontarsi favole: si comportano esattamente come se Salvini fosse ancora al governo, anzi come se ne fosse il capo.

Nel suo ultimo numero il loro organo di stampa, L’Espresso riporta in copertina un Salvini chiuso nel palazzo, asserragliato dai movimenti delle sardine. E uno di loro, Gianni Riotta, sulla Stampa del 25 novembre, osa paragonare le sardine ai ragazzi di Hong Kong, Beirut e Santiago del Cile, dimenticando un piccolo particolare: quelli sono effettivamente contro il regime, e rischiano la vita, mentre le sardine si battono per il governo contro l’opposizione, per lo più per ora dagli schermi tv.

Morale della favola: la sinistra americana un giorno forse troverà un proprio capo, quella italiana sarà sempre destinata ai traffici, agli intrugli, ai complotti e ai Prodi; almeno per quel breve tempo che le resterà da vivere.

Marco Gervasoni, 25 novembre 2019

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