GiustiziaPolitica

Perché De Luca sbaglia

Terzo mandato incostituzionale? Contrariamente da quanto dichiarato dal governatore campano, non si tratta di una sentenza “strampalata”

© STILLFX e Daboost tramite Canva.com

La recente pronuncia della Consulta sull’incostituzionalità della legge regionale campana 11 novembre 2024, n. 16, volta a consentire un terzo mandato consecutivo per il presidente uscente della Giunta regionale, rappresenta un punto di snodo cruciale nel rapporto tra autonomia legislativa regionale e vincoli costituzionali. Il caso De Luca diviene, così, occasione paradigmatica per riflettere non solo sul significato del principio di legalità costituzionale e del ruolo delle regioni ordinarie nella produzione normativa ma anche sulla fragilità della politica nel contesto del regionalismo italiano.

Il caso della legge n. 16 del 2024 della Regione Campania ha suscitato, infatti, un vivace dibattito giuridico e politico. La legge, come noto, cercava di aggirare il divieto di un terso mandato consecutivo, introdotto dalla legge statale n. 165 del 2004 in attuazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione.

La Corte costituzionale, con un proprio comunicato dello scorso 9 aprile, ha precisato come l’art. 1 della legge regionale prevedeva che il limite del doppio mandato non si applicasse al presidente uscente, computando i mandati solo a partire dalla legislatura in corso.

Come già si è avuto modo di specificare su questa testata il 16 gennaio scorso, questa clausola, vero e proprio espediente per consentire un terzo mandato a Vincenzo De Luca, è stata ritenuta incostituzionale per violazione dell’art. 122 della Costituzione, laddove richiede che le regioni, pur potendo disciplinare l’elezione del presidente, lo facciano, comunque, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge statale.

Leggi anche:

In realtà, la Consulta non ha fatto altro che ribadire un principio ormai consolidato: una volta che una regione ha optato per l’elezione diretta del presidente della Giunta – opzione resa possibile dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 – essa è vincolata all’intero impianto normativo statale, incluso il limite dei due mandati consecutivi.

Il cuore del problema risiede nella tecnica legislativa utilizzata: far decorrere il computo dei mandati dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Si tratta, a ben vedere, di un vero e proprio trucco contabile, pensato per aggirare un vincolo giuridico superiore. Tale impostazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale non solo in termini di violazione diretta della Costituzione e della legge statale ma anche di abuso della potestà legislativa regionale.

Il caso mostra chiaramente come l’autonomia regionale possa degenerare in autonomismo opportunistico, quando le leggi non sono fatte per regolare stabilmente l’assetto istituzionale, ma per garantire la sopravvivenza politica del singolo.

L’art. 122 della Costituzione non è norma meramente formale. Stabilendo, infatti, che la disciplina elettorale regionale deve rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legge della Repubblica, esso introduce un vincolo sostanziale all’autonomia regionale. Ed è proprio qui che la Corte costituzionale ha tracciato il confine: non è consentito alle regioni derogare, neppure per via indiretta, a quei principi generali che costituiscono il telaio dell’ordinamento repubblicano.

Il divieto del terzo mandato non è, dunque, un dettaglio tecnico, ma un elemento essenziale della struttura democratica regionale, finalizzato a garantire il ricambio istituzionale, a prevenire la cristallizzazione del potere e a limitare la personalizzazione della politica.

A ben vedere, il caso De Luca è anche indice della crisi della politica. Infatti, la tentazione del potere permanente, la rimozione del principio dell’alternanza, l’uso delle norme in chiave personale sono tutti sintomi di una fragilità democratica profonda.

Il dato più preoccupato non è tanto l’intento elusivo della regione Campania, quanto il contesto che lo ha reso possibile: un tessuto politico-istituzionale assuefatto ed incapace di reagire.

Alla luce di ciò, è palese che il monito della Corte costituzionale non riguardi solo la Campania, ma l’intero assetto del regionalismo italiano. In gioco non vi è solo il bilanciamento tra autonomia regionale ed uniformità sul territorio nazionale ma la qualità stessa del nostro sistema democratico. Infatti, in attesa del deposito della sentenza, il comunicato della Corte, tra le righe, sembra proprio voler riaffermare la supremazia del principio di legalità costituzionale segnando, quindi, un limite invalicabile al potere regionale.

Contrariamente da quanto dichiarato da De Luca, non si tratta di una sentenza “strampalata”: se il regionalismo vuole progredire, deve rinunciare alla tentazione di piegare le regole ai fini contingenti della politica. Solo così sarà possibile costruire – a livello regionale – una vera democrazia all’altezza dei principi costituzionali.

Giovanni Terrano, 14 aprile 2025

Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis)