Perché Francia e Italia hanno scelto il green pass

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Che senso aveva accodarsi subito ad una decisione presa isolatamente da un primo ministro francese in cerca disperata di consensi, senza un necessario supplemento di riflessione e senza quel coordinamento europeo che in altri casi si richiede? E prenderla per di più nel pieno di una stagione turistica e con una ripresa appena avviata e timidissima delle attività commerciali di tanti onesti lavoratori? Ovviamente, saranno gli storici un domani, quando tireranno le somme di questi anni, a esprimere un giudizio compiuto, anche in base agli effetti pratici della misura nella lotta all’epidemia e sul tessuto democratico, sociale e civile di questa nostra povera Italia (che ci auguriamo tanto super anche questo stress test).

Perché una cosa a chi scrive sembra sicura, e per ciò stesso avrebbe comportato una maggiore cautela e minor fretta nel decidere: se gli effetti del Green pass sul virus, e quindi sulla nostra sicurezza fisica, sono tutti da dimostrare; quelli sulle nostre coscienze, e quindi in prospettiva sulle nostre libertà, sono già ben chiari e dispiegati. Sulla sicurezza fisica, c’è poco da dire rispetto a quello che qua e là, in un orizzonte mediatico per lo più conformisticamente atteggiato, è già venuto fuori: non è detto che i vaccinati non contagino; non è detto che le “varianti” virologiche in circolazione siano letali quanto la prima forma (che già comparativamente ad altre epidemie del passato lo era poco); non è detto che un azzeramento totale del virus sarà mai raggiungibile, e né forse è auspicabile per quell’adattamento dell’organismo ai virus che è anche una sorta di corazza creatasi nel tempo con l’evoluzione della specie umana. Ma qui siamo nel campo ella scienza, e più non opiniamo per serietà morale e intellettuale.

La decisione, in base ai dati offertici dalla scienza e a tanti altri elementi, quella no, quella spetta solo alla politica. E qui ci troviamo appunto di fronte a una decisione squisitamente politica. E ritorniamo alla domanda di partenza: perché questa fretta? Perché dire sì a una misura, che fra l’altro riceve il plauso (così sembrerebbe dai sondaggi) della maggioranza degli italiani? Forse perché Draghi vuole instaurare una “dittatura sanitaria” e perché gli italiani cercano l’uomo forte? Forse perché veramente l’uno e gli altri sperano in questo modo di sbarazzarsi del virus e poter garantire la vita di più persone? Probabilmente la seconda risposta è quella giusta. Ed è una risposta che, alla luce di quanto detto, sa un po’ di azzardo: il risultato non è affatto garantito per questa via (e forse nemmeno in sé). Fare un azzardo, puntare su una fiche, in politica è positivo, per due motivi: perché responsabilizza, anche di fronte alla storia, come dicevamo all’inizio; perché è un segno di leadership, che genera per ciò stesso fiducia.

L’azzardo però, in questo caso, mette in gioco nientemeno che la libertà personale di tutti noi. Il gioco vale la candela? Sono state tentate altre vie, che ad un costo economicamente superiore, forse, ma civilmente e moralmente più accettabile, o sostenibile come si dice nel conformismo linguistico odierno, avrebbero dato gli stessi risultati? Perché nessuno parla più della necessità di fare subito grossi investimenti nella sanità? Perché il Mes è uscito fuori dal dibattito pubblico non solo in quanto Mes ma soprattutto per ciò che esso sollecitava, cioè la spesa nelle strutture di cura e nella medicina di territorio? Malafede del potere? Non credo, così come non credo che al governo nessuno abbia fatto questi ragionamenti.

Semplicemente, la conclusione amara da trarre è che la libertà non è per i nostri governanti e per noi stessi come italiani un valore importante e in un computo dei costi e benefici essa passa in secondo piano. Una conclusione amara per noi, ma che sa anche un po’ di risaputo: quante volte abbiamo parlato in passato di deficit di cultura liberale? Il fatto è che questo atavico deficit italiano viene ora ad inserirsi in una crisi morale di tutto il mondo occidentale, che pensa di poter concorrere con la Cina giocando in modo soft sul suo stesso terreno (nella fattispecie quello del controllo delle “vite degli altri” da parte dello Stato e dei meccanismi premiali su base sociale). Non meraviglia che a rispondere per primo sia stato Macron: la cultura della libertà francese, rispetto a quella anglosassone, è molto più statalistica e dirigistica, tutta protesa a realizzare la “salute pubblica” come la chiamavano i giacobini.

Storicamente l’Italia, nelle sue classi dirigenti migliori, ha sempre seguito questo modello, repubblicano più che liberale, dirigistico e non spontaneistico, a cui ha anche ispirato la costruzione dello Stato. Fu proprio la Destra storica a fondare lo Stato su queste basi, in una sorta di ossimorico dirigismo liberistico d’antan. Draghi, che prima che un economista è un uomo dello Stato, risente forse di questa nobile tradizione. E meno male che ce l’abbiamo. Ma ovviamente lo spirito liberale guarda da un’altra parte.

Corrado Ocone, 5 agosto 2021

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