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Perché la Segre ha toppato sulla fiducia

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La senatrice a vita Liliana Segre avrà anche fatto bene a recarsi a Roma in soccorso del governo Conte. La pandemia, l’incognita di nuove elezioni, l’imprudenza di cambiare cocchiere con la diligenza in corsa, la stima personale per il premier etc. spiegano il beau geste. “Tutti i governi del mondo” – ha dichiarato al Fatto Quotidiano – “ed a maggior ragione il nostro visto che l’Italia è stata colpita dall’epidemia per rima tra i paesi europei, hanno dovuto procedere per tentativi ed errori. Come anche la scienza del resto. Quindi è scontato che anche il governo Conte abbia fatto errori. Però mi pare che si debba riconoscere che ha fatto nell’ultimo anno un lavoro gigantesco per reggere l’urto di un’emergenza spaventosa; ed ha ottenuto una svolta storica nelle politiche europee”.

L’indignazione della Segre

La senatrice non ha alcun obbligo di documentarsi, di leggere ad esempio quanto ha scritto sul malgoverno dell’epidemia uno studioso documentato e imparziale come Luca Ricolfi – v. il suo ultimo libro La notte delle ninfee (Ed. La Nave di Teseo) – o le interviste e gli articoli di medici e scienziati che non condividono l’entusiasmo per Giuseppi. Non ho mai pensato che per votare sia richiesta una competenza specifica: le opzioni politiche sono spesso il frutto di intuizioni, non sempre sbagliate. Ciò che invece mi è sembrato assolutamente fuori posto è l’indignazione sopra le righe di una figura istituzionale che dovrebbe essere (o per lo meno apparire) super partes. “Il sentimento prevalente che mi muove è proprio quello dell’indignazione. Non riesco ad accettare che in un tempo così difficile, in cui milioni di italiani stanno facendo enormi sacrifici e guardano con angoscia al futuro, vi siano esponenti politici che non riescono a fare il piccolo sacrificio di mettere un freno a quello che chiamava il particulare”.

Eh no, cara senatrice: pas de zèle, come diceva il Principe di Talleyrand immagino a Lei poco simpatico, et pour cause! Nella democrazia liberale non si sceglie mai tra il bianco e il nero, tra il buono e il cattivo, tra l’onesto e il disonesto ma tra il più e il meno convincente: a determinare le nostre scelte è il piatto della bilancia che pende a favore di certe proposte politiche piuttosto che di altre e spesso è un etto a far decidere in un senso o in un altro. “In democrazia, come ho scritto tante volte, si vince ai punti non per k.o”. Chi vota per Zingaretti piuttosto che per Salvini, o viceversa, lo fa perché ritiene che il primo abbia più ragioni dell’altro ma non che l’altro ne sia privo.

Insulti a Renzi

Nessuno obbligava Liliana Segre a offendere Renzi bollandolo con l’accusa di particularismo nel senso guicciardiniano del termine (‘ahi quanto mal fece’ il grande Francesco De Sanctis a fare del geniale amico di Nicolò Machiavelli quasi il simbolo del cinismo nazionale). Un senatore a vita, un po’ come il presidente della Repubblica, non dovrebbe avere, in linea di principio, ‘nemici politici’, anche se ha le sue opinioni e fa le sue scelte, come tutti gli altri cittadini e rappresentanti del popolo. Il ‘senso delle istituzioni’ avrebbe dovuto suggerire alla senatrice: non sono d’accordo con la strategia di Renzi, ritengo la sua mossa politica irresponsabile, le sue richieste a Conte irricevibili etc. etc.; ma perché aggiungere il discredito morale, la spiegazione in chiave egoistica delle azioni del Gianburrasca fiorentino.? Il M5s è forse una confraternita di altruisti? Giuseppe Conte è uno che si preoccupa esclusivamente del bene degli italiani? E il suo governo è composto da ministri che rinuncerebbero immediatamente alla loro poltrona se venisse richiesto dall’interesse superiore del paese? Certe valutazioni Segre le lasci fare a Valentina Fico, l’ex moglie del premier, che non sopporta i ‘cinici’.

Madonna pellegrina dell’Anpi

Piccoli fatti di cronaca politica come questi inducono a chiedersi: ma ha senso attribuire al Quirinale il potere di nominare i senatori a vita? Giorgio Napolitano – forse uno dei peggiori presidenti della Repubblica italiana dopo Giovanni Gronchi e Oscar Luigi Scalfaro – ne fece una infornata per sostenere un governo amico traballante. Non si era mai visto nella storia della Prima Repubblica dove i Capi dello Stato – cattolici o laici che fossero – stavano bene attenti a conferire il laticlavio perpetuo ad alti esponenti della politica e della cultura, provenienti dalle più diverse famiglie ideologiche ma tutti ineccepibili in virtù di benemerenze ampiamente note. Se con Napolitano, almeno, si è tenuto conto del prestigio (tutti di sinistra ma con carriere di tutto rispetto), con Sergio Mattarella, si è fatto un passo avanti: una rispettabile anziana signora (una vera Carneade per il grosso pubblico) è stata nominata senatrice a vita non per ‘quanto ha fatto’, per i meriti acquisiti nei più vari campi, ma per ‘quanto ha sofferto’ (l’inferno dei Lager, l’esperienza più sconvolgente toccata agli uomini del XX secolo).

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