Perché Polonia e Ungheria potrebbero aver ragione

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Da quanto il lettore medio apprende leggendo la stampa mainstream sembrerebbe che, se il Recovery Fund non viene inserito in bilancio dall’Europa, o semplicemente ritarda perché un accordo all’unanimità non è facile trovarlo fra ventuno Paesi, la colpa sia dei paesi sovranisti e dei loro leader cattivi: il polacco Jaroslaw Kaczynski e l’ungherese Victòr Orban. Il sottinteso è che bisognerebbe far sapere a Matteo Salvini e Giorgia Meloni che sono i loro beniamini di oltralpe e non la Commissione di Bruxelles che vogliono male all’Italia.

In verità, se non ci si accontenta del minestrone, è proprio il caso di dire, propinatoci ad ogni ora da media che ormai parteggiano e non informano, ci si rende facilmente conto che le cose sono un po’ più complicate rispetto a questa rappresentazione di comodo.

1. Prima di tutto, l’idea di vincolare l’erogazione di contributi al rispetto dei parametri democratici, in sé non cattiva, andava proposta in altre e meno drammatiche ore per il futuro del nostro continente. Andava cioè del tutto svincolata dalla partita del Recovery Fund, il cui scopo è in primo luogo quello di salvare la barca comune dopo le distruzioni materiali e spirituali causate dalla pandemia. Averla surrettiziamente inserita è grave responsabilità del governo europeo attuale, che dimostra in questo modo di anteporre i propri successi politici, cioè la propria ideologia, al bene comune.

2. In seconda e più sostanziale istanza, è poi da considerare che questa impostazione politica e ideologica, che stona in questo momento, è del tutto pretestuosa in senso assoluto e non solo contingente. A ben vedere, infatti, la violazione dello Stato di diritto, di cui Polonia e Ungheria sono accusate, per una parte concerne aspetti di mancato bilanciamento fra i poteri che, in un periodo di crisi della democrazia classica quale è l’attuale, interessano ahimè un po’ tutti i Paesi, compresi quelli catalogati come “buoni” e “virtuosi” (si pensi solo un attimo alla messa in scacco in Italia del Parlamento durante la pandemia, e quindi alla sopraffazione del potere legislativo da parte di quello esecutivo); per un’altra e più importante parte, riguarda invece un surrettizio allargamento del concetto stesso di “Stato di diritto”, mercé l’elevazione a “diritto” di qualcosa che è una semplice opinione o un’opzione che lo Stato laico consente. Abortire, giusto per fare un esempio, non può essere un diritto, perché non è altro che una tragica scelta a cui ci si trova di fronte in certe circostanze e di cui, anche il non credente, deve assumersi tutta la responsabilità, prima di tutto davanti alla propria coscienza.

L’Europa dovrebbe essere una terra di libertà, e selezionare i propri membri a partire da questo parametro. Proprio per questo non può però essere la terra del “pensiero unico”, ove tutto ciò che prescrive l’ideologia progressista o politically correct non può essere nemmeno discusso e valutato. Pena l’esclusione da ogni consesso e la delegittimazione e demonizzazione morali.

Corrado Ocone, 19 novembre 2020

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