“Pronti a combattere”. L’Italia si prepara alla guerra

Esercito in preallarme. La circolare che parla di “addestramenti bellici” e “limiti ai congedi”

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di Giancarlo Maria Palombi

C’è un documento che ha fatto rumore. Due pagine con destinatari i vertici delle forze armate. Due fogli formato A4 con intestazione dello Stato Maggiore dell’Esercito con un oggetto che lascia poco alle interpretazioni: “Evoluzioni sullo scacchiere internazionale”. L’Italia, o almeno le sue forze armate, si preparano alla guerra.

La circolare parla chiaro. Parziale interruzione dei “congedi anticipati”, che per chi indossa un’uniforme corrispondono ai pensionamenti. Trasferimento prioritario del personale in “ferma prefissata”, ovvero i volontari da uno a 4 anni, presso i reparti operativi. E ancora, “tutte le unità in prontezza”, cioè pronte all’impiego, alimentate al 100% in modalità “ready to move”: pronti a muoversi. E infine il paragrafo più inquietante, sono certi aspetti. Quello che apre uno scenario che ad oggi nessun italiano ancora poteva immaginare. Sotto la lettera “D” si legge “Tutte le unità addestrati, anche quelle minori, devono essere orientate al warfighting”. Combattimento da scenario di guerra.

Il documento si chiude con due raccomandazioni, ordini volendo applicare il gergo militare. Lo Stato maggiore dell’Esercito richiede l’immediata manutenzione e messa in efficenza di tutti “i mezzi cingolati, gli elicotteri e i sistemi d’arma dell’artiglieria”. E poi si invoca l’immediata disponibilità “operativa” del 52º reggimento di artiglieria di Torino e dell’8° reggimento di artiglieria Pasubio. La firma è del generale di Brigata Bruno Pisciotta, il Capo ufficio generale del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Chi temeva che l’escalation bellica del conflitto in Ucraina potesse coinvolgere l’Italia anche sul fronte operativo, oltre a quello dei rifornimenti e delle forniture di materiale, ora ha una prova tangibile dello stato di allerta delle truppe italiane.

Ma qual è lo “stato di salute” delle nostre forze in campo? Numeri alla mano, la situazione appare complessa. L’esercito sulla carta ha 11 brigate di poco più di 3000 uomini ciascuna. In pratica, sarebbero circa 20.000 uomini. Di queste 11 ce ne saranno forse 4 o 5 con una capacità operativa appena accettabile. Per di più non ce n’è una uguale all’altra. Abbiamo una brigata paracadutisti, due di alpini, una corazzata e il resto ottenuta con permutazioni e declinazioni della fanteria e suoi derivati. Difficile far di meglio con soldati che dieci o vent’anni fa saltavano come grilli ma che oggi, raggiunti i 45 anni, fanno gli occhi dolci a una scrivania. Ed altresì difficile fare di meglio dopo che qualche illuminato stratega ha ritenuto che cannoni e obici andavano bene al tempo di Napoleone e che i carri armati erano ormai roba da terzo mondo. Per vincere le guerre del terzo millennio sarebbe bastato infatti un fucile in polimeri, qualche computer e tanta buona volontà. Poi c’è l’aeronautica militare.

Se da un lato tutto il mondo ci invidia le “Frecce Tricolori” dall’altro guarda con tenerezza una forza aerea che più o meno è quella imbarcata a bordo di una portaerei. Non la nostra, una americana. Rimarrebbe la Marina che delle tre sembra essere quella messa meglio, anche per merito dei suoi comandanti che negli anni hanno caparbiamente voluto e ottenuto una marina piccola ma competitiva. Peccato che per voce dello stesso Capo di Stato Maggiore oltre l’80% della squadra navale è alla fine della propria vita utile operativa. “Una acies”, questo il motto dell’Accademia militare di Modena. “Una sola schiera”. La speranza è che a rinfoltire le fila di quella schiera non debbano intervenire anche giovani e disillusi civili.

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