Quell’intreccio tra Ue e Ong palestinesi

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Gli antichi latini avevano proverbi per tutto, e uno dei più noti recita: Facta lex inventa fraus ovvero “Fatta la legge trovato l’inganno”. Certo gli antichi latini la sapevano lunga sul mestiere degli azzeccagarbugli, prima ancora del Manzoni, e questo antico adagio ci ricorda che praticamente non esiste legge o accordo che non possano essere travisati, piegati a proprio vantaggio, o peggio, ci ricorda che non sono mai esistiti, sia nel passato che nel presente, leggi o accordi che non abbiano delle vie di fuga.

Vie di fuga che, tra altro, non sono che i frutti dei compromessi, vie di fuga quasi sempre lasciate consapevolmente aperte in fase di scrittura delle norme o degli accordi prima che le norme diventino leggi o gli accordi firmati. Considerando ciò che sto per affrontare mi viene in mente anche un altro adagio che, anche se di origine straniera, si incastra molto bene sia con la massima latina che con la vicenda che voglio raccontare: “Il diavolo è nei dettagli”.

Sono sicuro che qualcuno di voi si chiederà il perché di questa mia introduzione, forse noiosa, ma che serve per capire di che pasta sono fatti coloro che governano l’andamento della politica estera dell’Unione Europea. Recentemente, soprattutto dopo che il 30 aprile scorso il governo tedesco ha messo al bando tutte le attività del gruppo politico di Hezbollah in Germania, e considerando il nuovo atteggiamento da parte di Berlino nei confronti delle organizzazioni palestinesi troppo spesso colluse con il terrorismo, l’Unione Europea ha accentuato i controlli sui fondi destinati alle Ong o a altri gruppi e sigle internazionali che operano sul territorio dell’Amministrazione Nazionale Palestinese o nella Striscia di Gaza.

Tutto questo per impedire, cosa già successa in passato, che quei fondi anziché finire come aiuto alla popolazione civile possano essere usati per gonfiare il portafoglio dei corrotti, la lista è lunga, o peggio finanziare il terrorismo contro Israele. Che l’Unione Europea, fino ad oggi pronta nel prendere decisioni economiche che danneggiano Israele, ma miope ogni volta che si è trattato di verificare l’uso dei fondi regalati alle organizzazioni palestinesi avesse cambiato registro, poteva essere una buona notizia anche perché si tratta di svariati milioni di Euro l’anno da diversi anni a questa parte. Fondi finanziati con i soldi dei contribuenti europei.

Inutile dire che le proteste palestinesi su questi controlli non si sono fatte attendere, e quando ci si inalbera e si alza la voce, come hanno fatto i vertici dell’OLP da Ramallah e di Hamas da Gaza, non si ha la freddezza mentale di andare a cercare quelle “vie di fuga” di cui parlavo prima. Vie di fuga che ritroviamo anche nei trattati internazionali. Il problema però è stato risolto da Sven Kuhn von Burgsdorff, rappresentante dell’Unione Europea in Cisgiordania che, in una lettera ufficiale del 30 marzo scorso indirizzata ad alcune Ong palestinesi, oltre a ribadire che i progetti finanziati dall’Ue, anche quelli di organizzazioni palestinesi, devono attenersi alle leggi europee come il divieto di finanziare gruppi terroristici, affermava anche quanto segue: “… sebbene entità e gruppi inclusi negli elenchi restrittivi (in quanto terroristi) non possano beneficiare di attività finanziate dall’Unione Europea, è inteso che una singola persona fisica affiliata, simpatizzante o sostenitrice di uno dei gruppi o entità menzionati negli elenchi restrittivi non è di per sé esclusa dal beneficiare delle attività finanziate dall’Unione Europea”.

In parole povere esortava chi di dovere a chiedere i fondi a nome proprio e non a quello dell’organizzazione di cui faceva parte. In tutta sostanza cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia e il finanziamento al terrorismo arriva sotto altre spoglie. La lettera, rintracciata da diversi organi di stampa israeliana come il Times of Israel e il Gerusalem Post, che l’hanno pubblicata, afferma inoltre: “…l’Ue non chiede a nessuna organizzazione della società civile di cambiare la sua posizione politica nei confronti di alcuna fazione palestinese o di discriminare qualsiasi persona fisica in base alla sua appartenenza politica”.

Il suggerimento di Sven Kuhn von Burgsdorff, ha innescato la reazione israeliana al punto che un portavoce del Ministero degli Esteri ha dichiarato al Times of Israel che si tratta di una violazione di tutti gli accordi stipulati fra Israele e Unione Europea, accordi che prevedevano una politica più restrittiva nei controlli sui destinatari palestinesi degli aiuti, in modo che i fondi non cadessero nelle mani di chi ha legami con il terrorismo o attività anti-israeliane.

Ma, nonostante il governo olandese abbia tagliato i finanziamenti all’Autorità palestinese per i suoi stipendi ai terroristi e a febbraio l’Ufficio del Primo Ministro francese ha dichiarato la sospensione dei finanziamenti a destinatari palesemente antisemiti, Sven Kuhn von Burgsdorff, rappresentante dell’Unione Europea in Cisgiordania, sapendo che è impossibile monitorare l’uso dei fondi dati a privati, fondi che una volta arrivati passeranno sicuramente di mano in mano fino ad arrivare ai vertici del terrorismo, ha, di fatto, indicato una “via di fuga” che si può utilizzare per continuare a godere dei soldi europei senza da una parte mettere Bruxelles in imbarazzo e, dall’altra, continuare a pagare le marchette a chi vede l’Unione Europea come un grosso bancomat da svuotare e che funziona senza pin.

Michael Sfaradi, 11 maggio 2020

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