Interviste

“Rai? Ci stavo pensando, ma…”. La mia intervista alla Verità

Il giornalista e conduttore tv parla alla Verità in vista della festa della Ripartenza del 7-8 luglio a Bari

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Pubblichiamo l’intervista di Federico Novella della Verità a Nicola Porro del 26 giugno 2023.

«A sinistra è nato il partito dei salotti. Non hanno alcun programma, ma pretendono di dire sempre la cosa giusta. E in questo partito ci metto anche Confindustria, che ormai è peggio dei sindacati». E ancora: «La Rai? Ci stavo pensando, poi è arrivata una telefonata che non dimenticherò mai…». Nicola Porro, giornalista e conduttore di Quarta Repubblica su Rete 4, si prepara a lanciare le sue frecciate nella nuova edizione della «Ripartenza», l’evento organizzato il 7 e 8 luglio a Bari con i protagonisti dell’economia italiana. Tutto questo mentre in Russia esplode contro Putin la rivolta dei mercenari.

Lo Zar Vlad sta per essere rovesciato, oppure è più complicato di come ce la stanno raccontando?

«Quello che è successo penso abbia un valore più simbolico che concreto. Lo stesso valore che attribuisco alla fuga disordinata degli americani da Kabul nel 2021. Magari non ci sono ripercussioni pratiche immediate, però vedere il mercenario che si prende una città e con i suoi uomini arriva a 200 chilometri da Mosca, è comunque un fatto simbolico pesantissimo».

Parlando di cose italiane: sembra che la maggioranza si stia facendo opposizione da sola. Dal Mes alla vicenda Santanché, fino all’infinito dibattito sulla gestione dei fondi del Pnrr. Si tratta di veri litigi o sono semplici baruffe da bar?

«È come una legge della fisica: gli spazi vuoti si occupano sempre, anche in politica. La totale mancanza dell’opposizione si porta dietro questo paradosso: l’opposizione oggi si fa solo all’interno del governo. Ed è meglio così, perché è già capitato in passato che i governi dovessero fronteggiare ben due opposizioni: una dentro, e una fuori».

Sul Mes in particolare sia Giorgia Meloni che Matteo Salvini non si affrontano ancora a viso aperto. Ma la diversità di vedute prosegue più o meno sottotraccia. Entrambi hanno paura di trascurare l’elettorato sovranista in vista delle Europee?

«Credo a quello che mi ha detto Giorgia Meloni a Quarta Repubblica: lei farà le cose che interessano al Paese, indipendentemente dal consenso elettorale che ne deriva. Difatti sta facendo mosse che non necessariamente portano voti: penso al filo-atlantismo privo di dubbi, su cui parte degli elettori non la segue, penso all’aumento delle accise sulla benzina, penso alla riduzione graduale del reddito di cittadinanza, un riduzione non così brusca come si immaginava in campagna elettorale».

Dunque?

«Giorgia Meloni ha dimostrato di non seguire necessariamente il consenso. Non disprezza il Mes per motivi elettorali, ma perché convinta che quello strumento farà male all’Italia». Dunque il premier è meno draghiano di come lo si descrive? «In ogni caso continua ad avere rapporti riservati e assidui con due dioscuri dell’establishment italiano: Mario Monti e Mario Draghi».

Guardando la foto di Campobasso, con Schlein, Conte e Fratoianni insieme, che idea ti sei fatto? La sinistra italiana sta davvero costruendo le fondamenta per il famigerato campo largo?

«Esiste in Italia un partito totalmente privo di programma, ma con una spiccata mentalità di sinistra. C’è dentro Elly Schlein, Giuseppe Conte, l’editore Gedi, e i giovani di Confindustria. È il partito dei salotti. Dei premi letterari. Di quelli che dicono sempre le cose giuste nei posti giusti. E non dovremmo sottovalutarlo, questo partito, perché è dotato di un peso mediatico non indifferente».

Ma perché nel partito dei salotti inserisci anche i giovani di Confindustria? La Repubblica scrive di un loro feeling con Elly Schlein. A Rapallo hanno detto no alla flat tax, e qualcuno avrebbe fatto aperture persino su battaglie come il salario minimo. Battaglie più landiniane che confindustriali…

«I cosiddetti “Giovani Imprenditori” dovrebbero subire una class action da parte degli imprenditori veri».

Addirittura?

«In trent’anni di giornalismo finanziario, io di autentici giovani imprenditori ne ho visti veramente pochi. Semmai vedo tanti giovani “figli” di imprenditori, che i genitori hanno inserito in un’associazione che non conta nulla, poiché preferiscono fargli organizzare convegni a Capri piuttosto che tenerseli in azienda. Ho un sacco di amici capitani d’impresa che mi ripetono la stessa frase: dobbiamo versare la quota associativa per dare il salario minimo ai giovani imprenditori, al fine di consentire loro di chiacchierare a Rapallo?».

Tutto questo ti sembra una novità? «È così da sempre, non da oggi. I giovani imprenditori hanno un unico scopo: passare i 40 anni, e fare carriera in Confindustria». Chi è oggi il vero rappresentante degli imprenditori?

«Berlusconi lo era davvero, e a riprova di questo c’è il fatto che veniva contestato da Confindustria. Ricordiamo le urla di Vicenza? A Berlusconi tutto si può dire tranne che facesse parte di quell’establishment. Una storia su tutte: a Roma l’imprenditore a capo della più grande azienda quotata della capitale, ha tentato di diventare presidente della Confindustria romana, un paio d’anni fa. Sai com’è finita? I probiviri lo hanno respinto come “non candidabile”, solo perché non era iscritto da abbastanza tempo…».

Questo cosa ci insegna?

«Oggi la Confindustria è più inutile dei sindacati. Ma i nostri colleghi giornalisti non l’hanno mai detto, perché speravano di lavorare per Il Sole 24 Ore».

Oggi?

«Oggi è molto meno importante di un tempo. Nelle prime file dell’assemblea di Confindustria, ormai, vedi solo gente nominata dalla politica. La vera impresa, oggi molto più di ieri, sta lontana anni luce dal mondo confindustriale».

Insomma, da quelle parti non salvi nessuno?

«Salvo soltanto alcune associazioni confindustriali settoriali, che effettivamente conoscono il territorio e si battono realmente per gli interessi delle imprese. Sono le uniche che hanno davvero senso».

Scomparso Silvio Berlusconi, sembra che il quadro politico sia diventato ancora più caotico, su entrambi i fronti. «Berlusconi è stato l’uomo che ha rivoluzionato la politica in Italia. La cosa drammatica è che nessuno l’ha voluto ammettere, fino alla sua morte». E adesso Forza Italia che fine farà?

«Ci sono due strade. Può diventare un partito gollista, che però non si dovrà basare solo sul ricordo del fondatore, bensì sulla personalità del nuovo leader».

Nuovo leader? Impresa non facile…

«Penso invece che, dopo Berlusconi, trovare un altro leader è oggi possibile, così come in Francia abbiamo avuto eredi di De Gaulle dopo la sua morte».

Seconda strada?

«Se non trovano il leader che impersoni il gaullismo all’italiana, il rischio per Forza Italia è la diaspora con una lenta consunzione, e un piccolo vuoto di apparato».

Stasera chiudi con un successo la tua stagione a Quarta Repubblica. È vero che eri con un piede in Rai?

«Posso raccontartela per la prima volta in maniera esplicita. Io ho avuto una trattativa importante con la Rai, c’era per me un vero progetto editoriale, che comprendeva una serie di programmi su Rai 3».

Dovevi andare al posto di Fazio?

«No, anzi l’unica condizione che avevo posto era quella di non sostituire Fabio Fazio. Ma un mercoledì mattina, proprio mentre ascoltavo queste proposte, mi telefona Silvio Berlusconi: era appena uscito dal San Raffaele dopo il suo primo ricovero».

E cosa ti dice?

«Mi ripete le stesse parole che avevo già sentito da Pier Silvio: “Nicola, tu fai parte della famiglia Mediaset, sarei molto felice se rimanessi con noi”».

E tu?

«Non sarei andato in Rai comunque, ma Berlusconi con quella telefonata ha finito di convincermi. Diciamocelo: la permanenza di Porro a Mediaset non era una questione fondamentale, rispetto ai problemi che stava affrontando il Cavaliere in quei giorni. Eppure lui ha trovato il tempo di chiamarmi: una telefonata importante, che non dimenticherò».

Ha ragione Matteo Renzi, quando al Senato ha parlato di Berlusconi come di «uno statista capace di rapporti umani»?

«Esiste un tratto negli imprenditori italiani, che Berlusconi ha sublimato perfettamente. Quello di investire energie e attenzioni nella cura delle persone, siano essi collaboratori o meno. In Italia il capo azienda non è solo uno che guarda i bilanci alla fine dell’anno, per quanto importanti possano essere. E nonostante tutti gli ostacoli, questo resta ancora oggi il carattere più bello dell’impresa italiana».

Federico Novella, La Verità 27 giugno 2023

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