Redditometro, ecco cosa non funziona

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di Giuseppe Pasquale

Desta perplessità la bozza di redditometro in consultazione sul sito del dipartimento delle Finanze. Se approvata, il Fisco genererà ogni anno una lista con dentro probabilmente milioni di ‘evasori’ da cui recuperare le tasse sulla differenza fra i guadagni dichiarati e il tenore di vita. Per quanto elaborata con moderne e sofisticate tecniche statistiche, tale lista non può che essere predisposta in base a stima. Mi chiedo pertanto quanto ciò possa essere concretamente praticabile.

Tasse e sanzioni in arrivo

Al riguardo, dubito che sarà davvero possibile esprimere con una cifra fissa, massimamente attendibile, l’ammontare annuo del tenore di vita per ognuno dei 60 milioni di cittadini. Ma laddove ciò dovesse avvenire, sarebbe opportuno farne paradossalmente uno strumento di tassazione verso tutti piuttosto che un dispositivo di accertamento ad utilizzo saltuario nelle mani del Fisco. La prospettiva del decreto in arrivo, invece, è questa: nei confronti del contribuente accertato confrontare la totalità delle spese, monetizzate dal cervellone, con quanto a suo tempo dichiarato, in modo da addebitarvi conseguentemente tasse e sanzioni sulla differenza.

Ma come si passa dal tenore di vita al recupero per evasione? Il decreto in arrivo autorizza l’Agenzia delle Entrate a quantificare il reddito tassabile in misura non inferiore a quanto a suo tempo speso: a tal fine rilevano non solo gli acquisti più importanti (quelli che in anagrafe tributaria sono associati al codice fiscale: quali immobili, autoveicoli, azioni, mutui, tasse, risparmi su conto corrente e versamenti di ogni tipo tramite F24), ma anche tutto il resto, ovvero l’universo mondo, comprese persino le minute spese di vita quotidiana.

Grande fratello fiscale

Queste ultime, a loro volta, possono essere già in possesso del Fisco (a es. spese mediche, assicurazioni, utenze, contributi, acquisti facilitati da bonus, lotto, lotterie, alberghi, pasti), oppure no. E, in quest’ultimo caso, per la quantificazione sopperisce la stima Istat: a es. rette di ogni tipo, detersivi, pentole, biglietti del bus, giocattoli, libri scolastici, pezzi di ricambio auto, alimentari, abbigliamento, viaggi.

Dall’estrema minuzia delle ben 70 tipologie e voci di spesa elencate nel decreto traspare lo sforzo immane di non farsi sfuggire, dal perimetro degli esborsi possibili, neanche il più insignificante dei potenziali acquisti. Se non sei proprietario, né affittuario di abitazione nel Comune dove risiedi, a esempio, ti viene conteggiato (a ‘prezzi’ Istat) il fitto figurativo (per 75 mq). Per la casa condotta in affitto e per quella in proprietà, comprese le altre a disposizione, viene conteggiato, sempre su base Istat, l’acqua, il condominio e la manutenzione ordinaria. Quanto agli investimenti, potrai difenderti dall’addebito potenziale determinato dalla maxi-spesa scudandoti con gli eventuali redditi dei quattro anni precedenti. Se nel 2016 hai investito 200 mila euro, a esempio, puoi giustificarti anche grazie redditi dal 2012 in avanti (non potrai invece giustificarti invocando redditi ‘storici’ anteriori).

Solito approccio moralistico

Sembra evidente a questo punto che l’idea di fondo sia ispirata da una sorta di approccio moralistico. E la tradizione non si smentisce neanche per questo schema di redditometro, che appare anch’esso destinato a fallire, come una prima volta decretato dalla circolare n. 101 del 1999 (che lo derubricò a semplice “spunto di indagine”) e come nuovamente accaduto anni fa, per le stesse odierne ragioni, con l’inaspettato ritiro del Redditest. Da ultimo – nel continuo stop and go degli ultimi vent’anni – nel 2018 vi fu il blocco inerte (a tempo indeterminato) disposto dal decreto Dignità (articolo 10).

Il punto è che forse, a tale riguardo, bisognerebbe cambiare radicalmente l’impostazione. E, invero, quando dalla teoria si passa alla pratica la questione si fa estremamente più complessa e, nello specifico, anche delicata. E, invero, il contrastare l’evasione, con procedure accertative di massa basate su metodo presuntivo, è tecnicamente impraticabile se non sai anzitutto essere accuratamente selettivo nella scelta dei soggetti da controllare. La via maestra, pertanto, è di focalizzare l’attenzione unicamente sulle maxi-spese in modo da intercettarle ed incrociarle operativamente con i soggetti aventi la maggiore distanza reddituale. Per poi procedere, previo contraddittorio e/o altri meccanismi definitori, all’accertamento secondo buon senso, come da decenni la legge vigente ben consente (con o senza redditometro).

Il 10 dicembre 2011, sul quotidiano il Sole 24 Ore, le Entrate resero noto che all’epoca un quarto degli intestatari di veicoli di lusso dichiarava al Fisco meno di 20 mila euro. A distanza di oltre dieci anni mi chiedo se frattanto sia stata avviata un’azione diretta a contrastare questo gap. Qui di seguito la consistenza complessiva all’epoca ivi riportata dei mezzi di lusso, che aiuta a comprendere la portata del fenomeno:

– 594.350 vetture oltre 185 kW di potenza effettiva
–  99.079 natanti
–  2.012 aeromobili.

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