Scuola

Riforma della scuola? Sì, ma a 2 condizioni

Per una vera svolta la scuola italiana è necessario prendere atto della realtà

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Va da sé che il nostro sistema scolastico, oltre a tradire i giovani, tradisce anche chi è preposto alla loro formazione, culturale e umana: i docenti. Il loro reclutamento, la loro formazione e la loro retribuzione rappresentano la logica conseguenza di quanto sopra esposto, con il precariato a farla da padrone. È necessario liberarsi da interessi terzi. Saremo capaci, nelle aule del Parlamento, all’interno del Governo, nei tavoli tecnici di concertazione, nelle assemblee sindacali di compiere scelte coraggiose e credibili? Solo scelte, ripeto, coraggiose e credibili possono cambiare radicalmente la scuola italiana. È quindi chiaro che solo la garanzia del diritto allo studio per tutti gli studenti può portare alla vera svolta la scuola italiana.

Per approfondire:

Ecco in sintesi i passi da compiere:

1. È urgente introdurre il censimento dei docenti e delle cattedre per incrociare realmente domanda e offerta. Saremo capaci di liberare la scuola dai poteri forti, ossia dalle logiche dei partiti e dei sindacati? Il Covid ce lo impone. Serve, inoltre, quel senso di giustizia che libera centinaia di docenti ingannati per decenni

2. È evidente che il censimento renderà manifesto che i docenti, soprattutto meridionali, sono stati ingannati, lungo questi 20 anni, dalla politica che, in campagna elettorale, a turno, prometteva posti di lavoro per tutti i docenti, per la propria disciplina, a km zero dalla propria residenza, ignorando la realtà: 1.380 mila allievi si trovano in Lombardia, 671 mila in Veneto, 276 mila in Calabria, 570 mila in Puglia, 74 mila in Basilicata.

La realtà ci obbliga a dire ai docenti meridionali, miei conterranei, che, per poter insegnare, non hanno alternative: debbono accettare una cattedra nel Nord senza scorciatoie (certificati di malattia, legge 104 e aspettative). Occorre prendere atto che, degli 8Mln di studenti, 1.380 mila sono in Lombardia e solo 267Mila in Calabria: è evidente che i docenti calabresi, pugliesi, campani, siciliani possono realizzare il loro sogno solo trasferendosi in Lombardia o in Veneto, con i dovuti distinguo naturalmente, oppure debbono cambiare mestiere.

Mi metto nei panni di un pugliese: come potrebbe insegnare a Milano e poter pagare l’affitto sradicato dalla sua famiglia? L’unica via è garantire al docente che insegna nelle Regioni del Nord uno stipendio più alto, considerate le differenti economie delle Regioni, e quindi parametrato al costo della vita. Uno stipendio differenziato non solo tiene conto della storia economica di ogni Regione ma permetterebbe ai docenti meridionali di potersi spostare dove sono le cattedre, sostenuti da uno stipendio, senza dover ricorrere a scorciatoie e vivendo una precarietà indefinita.

Chiaramente, con questa logica, si rimette al centro lo studente che non subirà più il disastro delle cattedre vuote. Trovo stucchevole denunciare i problemi per il solo gusto di farlo, senza voler intraprendere i percorsi più ovvi per ragioni ideologiche e spesso frutto davvero di tanta non conoscenza. Perché, alla proposta di stipendi differenti, si è lanciato l’allarme di dividere in due il Paese e di voler premiare i docenti settentrionali, a danno dei docenti meridionali, quando, con i numeri alla mano, la proposta va esattamente nella direzione opposta? È chiaro che la soluzione scomoda gli interessi terzi: la classe politica non potrà più fare le proprie campagne elettorali, promettendo posti di lavoro inesistenti a Km zero, e i sindacati non potranno più raccogliere una messe abbondante di tessere. Solo un’operazione verità consentirà di garantire ai nostri studenti il diritto di apprendere e di restituire dignità ai nostri docenti, ponendoli nelle condizioni economiche di poter insegnare dove ci sono le cattedre.

Suor Anna Monia Alfieri, 31 gennaio 2023

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