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Risvegliarsi nel Ventennio col duce in pochette

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Per favore, aiutatemi, vivo in un paradosso temporale. Sono infatti andato a dormire ieri sera, nell’Italia del 2020, e fin qui in effetti non c’è notizia. Mi sono poi risvegliato stamattina, e da allora mi trovo in pieno Ventennio. Non il primo ventennio del nuovo millennio, no, l’altro, quello novecentesco, quello ideologico, autoritario, monolitico.

Lo so, è una pazzia, ma i segni d’altronde sono inequivocabili. Il potere politico ha prolungato uno “stato d’emergenza” palesemente infondato nel contesto democratico e costituzionale, essendo giustificato con un’emergenza sanitaria oggi inesistente. L’uomo che l’ha annunciato, certo elegante dal momento che al posto del manganello d’ordinanza sfoggiava una pochette appena stirata, ha detto tra l’altro che “le funzioni del commissario straordinario cesserebbero senza la proroga, mentre il suo lavoro si sta dimostrando fondamentale”. E si riferiva al lavoro di Domenico Arcuri, uno che voleva stabilire per legge il prezzo delle mascherine contro ogni assioma della scienza economica, che ha avviato il bando di gara per i reagenti necessari ai tamponi dopo 3 mesi dall’esplosione della pandemia, che ha vantato in ogni dove le virtù della desaparecida app Immuni. Siamo oltre il pretesto, siamo alla provocazione, all’arbitrio puro dello Stato, al di fuori del quale non c’è “nulla”, come da lezione mussoliniana.

Peggio: prendo atto che la maggioranza ha appena deciso di spedire a processo il capo dell’opposizione, sostituendo de facto la dialettica democratica con le sentenze processuali. E l’ha fatto, si badi bene, ché il cortocircuito temporale è definitivo, per un reato politico. È del suo agire pubblico e della sua visione del mondo, che deve rispondere Matteo Salvini: essersi presentato alle elezioni (un ferrovecchio plutocratico che il Ducetto in pochette sta rendendo sempre più marginale) con un programma in materia di gestione dell’immigrazione clandestina, e avere persino provato ad applicarlo quando ha avuto incarichi di governo. È reo ideologicamente, il leader del maggior partito di minoranza, colpevole di avere delle idee differenti e di metterle in pratica, di inserire la contraddizione nell’unanimismo granitico del Partito/Stato, binomio oggi al massimo ampliato alla Casaleggio&Associati.

Mentre cerco qualcuno che quantomeno rivendichi “la responsabilità storica e morale” di tutto questo, come fu allora, leggo che il governo intende mantenere secretati i verbali in base a cui ha gestito finora lo stato d’emergenza. Trattasi dei documenti del Comitato tecnico-scientifico utilizzati dall’autocrate cortese per emettere i Decreti della presidenza del Consiglio di marzo-aprile. Quelli del lockdown, totalmente scissi da qualunque dibattito parlamentare e condivisone anche formale con i partiti, perfino liberi dal timbro regio, cui perfino Lui doveva sottostare. Il potere esecutivo integralmente sciolto da qualunque argine o contrappeso, compreso quello del possibile esame da parte della pubblica opinione, espressione che del resto nel Ventennio, quindi oggi, sfuma nel nonsense.

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