Rna, gli Usa lavorano a un supervaccino

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Quando il premio Nobel per la Medicina, il professor Luc Montagnier, ha parlato di “apprendisti stregoni” nel campo della ricerca medico-scientifica, in molti avranno pensato che i suoi strali fossero diretti alle Big Pharma. Capaci in pochissimi mesi, complice l’erompere della pandemia, di produrre su scala mondiale dei vaccini di nuova generazione. Autorizzati in emergenza, come unica arma di salvezza, poiché nessun altro trattamento risultava efficace per tentare di arrestare il dilagare del virus Sars-Cov2. Oggi viene il dubbio che il professore francese potesse riferirsi ad altri attori, un po’ meno in vista.

Eppure veri protagonisti della “spinta propulsiva” che sta  all’origine di questi vaccini, e in particolare di quelli basati sulla tecnologia dell’Rna Messaggero. Forse non tutti sanno che a scommettere per prima su questa tecnologia genetica, originariamente basata sulla ricombinazione del Dna (con risultati però contrastanti), è stata un’agenzia segreta del Ministero della Difesa americano: la Defense Advanced Research Projects Agency, nota come Darpa.

Darpa è stata fondata dal presidente Eisenhower nel 1958, un anno dopo il lancio del satellite Sputnik, quando la Russia aveva stracciato gli Usa nella corsa alla conquista dello spazio. Nasce con la mission specifica di “mantenere le capacità tecnologiche statunitensi al passo, e possibilmente all’avanguardia, rispetto a quelle dei nemici”. Curioso che la Russia, la prima a sfornare sul mercato un antidoto contro il Coronavirus, lo abbia ribattezzato Sputnik V, quasi a monito dell’antica sfida. L’atout di Darpa è scommettere su progetti così azzardati da sembrare fantascienza (molti avranno collegato il suo nome alla pionieristica rete ArpaNet, antenata di Internet), insieme alla possibilità di bypassare tutte le procedure burocratiche a cui sono sottoposte le tradizionali agenzie governative. Questi due fattori si sono rivelati, nel tempo, la sua arma vincente. In grado di catalizzare investimenti per milioni di dollari, in particolare nei settori dell’intelligenza artificiale e della cybersicurezza. A celebrarne il modello di business, in un articolo intitolato “Cloning DARPA”, è stato a giugno il prestigioso settimanale The Economist.

“Potrebbe sorprenderti apprendere che molte delle innovazioni implementate per contrastare il Coronavirus erano un tempo oscuri progetti finanziati dal Pentagono per difendere i soldati da malattie contagiose e armi biologiche. Il vaccino salvavita sviluppato a tempo di record ha un debito con questi programmi. Per saperne di più, abbiamo incontrato l’uomo che ha guidato lo sforzo di vaccinazione rapida, il colonnello in pensione Matt Hepburn. Un medico di malattie infettive dell’esercito, ha trascorso anni con l’agenzia di progetti di ricerca avanzata di difesa segreta o Darpa, lavorando sulla tecnologia che spera assicurerà che il Covid 19 sia l’ultima pandemia” è riportato sul sito di Cbs News, che ha intervistato l’alto ufficiale, insieme ad altri colleghi, nella celebre trasmissione televisiva 60 Minutes lo scorso 11 aprile. Il titolo della puntata è emblematico: “Military programs aiming to end pandemics forever”. Ovvero, “Progetti militari che aspirano a sconfiggere per sempre le pandemie”.

Avete letto bene: “le” pandemie. Non unicamente quella scatenata dal Coronavirus, ma anche tutte le altre a venire, mortali o meno che siano. Non fa differenza che si tratti di banali raffreddori o di virus come Ebola. In questo il Dr. Hepburn non usa giri di parole: “La missione è eliminare le pandemie dal tavolo”. Un altro ricercatore del Pentagono, il dottor Kayvon Modjarrad dell’esercito, promette un antidoto rivoluzionario, da inoculare entro cinque anni a tutto il mondo, per eradicarli tutti: “Questa non è fantascienza, è scienza. Abbiamo gli strumenti, abbiamo la tecnologia per fare tutto in questo momento. Virus killer che non abbiamo visto o nemmeno immaginato, saremo protetti contro tutto”.

Darpa non è l’unica agenzia del Pentagono in prima linea su questo fronte il colonnello Joel Moncur, che dirige il Joint Pathology Institute di DC, è a capo di un gruppo d’élite di investigatori medici, che studiano campioni di tessuto di soldati e marinai infettati da agenti patogeni in tutto il mondo. Come il polmone danneggiato di una recente vittima del Covid 19. Il deposito centenario dell’istituto, il più grande del mondo, ospita decine di milioni di blocchi di tessuto conservati nella cera, tagliati a fette sottili per l’osservazione ravvicinata su vetrini. Questo tesoro biomedico viene digitalizzato utilizzando l’intelligenza artificiale. Il dottor Moncur sta esaminando l’attuale pandemia attraverso la lente del passato. L’influenza spagnola del 1918 ha ucciso più soldati americani nella Prima Guerra mondiale di quanti ne siano stati uccisi in combattimento. I militari non si sono mai dimenticati e oggi Moncur può dichiarare: “La comunità scientifica aveva bisogno di capire perché la pandemia fosse così mortale. E questo tessuto era inestimabile, perché ci ha permesso di caratterizzare il virus a livello genetico, e da lì sono avvenuti alcuni esperimenti incredibili che hanno permesso di ricostruire il virus”.

Già nel 2005 gli scienziati del deposito di tessuti Mt. Sinai School of Medicine e del CDC hanno fatto notizia in tutto il mondo quando hanno resuscitato il virus mortale del 1918. Fu allora che il dottor James Crowe, un ricercatore di malattie infettive della Vanderbilt University, si unì al team. Andò alla ricerca di sopravvissuti all’influenza del 1918. E alla ricerca di anticorpi umani vivi, le proteine prodotte dai nostri corpi per combattere le malattie. Anche Crowe ha iniziato a studiare progetti che hanno fatto entusiasmare gli investitori: “Queste persone di quasi 100 anni avevano ancora nel sangue cellule immunitarie che circolavano nel loro corpo, cellule che avevano reagito all’influenza del 1918. Quello è stato uno di quei momenti in cui ho detto: “Wow, questo è molto potente e interessante”. Crowe e gli scienziati del CDC hanno infettato gli animali da laboratorio con il virus mortale del 1918 e li hanno curati. E il dottor Crowe ha rivelato a Cbs: “Ci stavamo preparando a fare uno sprint numero due simulato. E nel bel mezzo di quel Covid è successo. Così la Darpa si è rivolta a noi e ha detto: “Basta simulazioni. Questo è reale. Abbiamo bisogno che tu fornisca anticorpi per Covid”. Il suo laboratorio, dopo una serie di test, ha consegnato un trattamento anticorpale al produttore di farmaci Astrazeneca in un tempo record di 25 giorni.

Non è un segreto, e non è raro negli Usa, che agenzie come Darpa lavorino a stretto contatto con ricercatori universitari, laboratori militari e appaltatori della difesa per incanalare le tecnologie emergenti in mega progetti rischiosi, volti a prevenire “un altro Sputnik”. Tuttavia i progetti stravaganti dell’agenzia hanno, per sua stessa ammissione, un alto rischio di fallimento: “Ma se avessero successo trasformerebbero l’esercito americano e forse anche la società”. Dalla nascita, i progetti finanziati da Darpa hanno creato gli elementi costitutivi del gps, il primo mouse per computer e i protocolli alla base della moderna Internet. L’agenzia ha aperto la strada alla tecnologia stealth che ha reso i caccia americani quasi invisibili ai radar nemici. E ha avanzato uno stuolo di nuove armi, inclusi i droni. Durante l’amministrazione Obama, si presentò la necessità di intensificare le capacità di risposta alla pandemia sulla scia dell’epidemia di H1N1 e Darpa rispose con l’apertura del primo ufficio di biotecnologia dell’agenzia nel 2014.

Ma accanto all’euforia di infrangere sempre nuovi primati nella guerra contro le epidemie globali e il bioterrorismo, c’è un lato inquietante che non si può fingere di ignorare: la fretta. Se la tempestività in guerra può essere un fattore strategico, si tramuta in un punto debole letale se la risposta si rivelasse, nel medio lungo termine, del tutto imprevedibile o errata. Una “guerra lampo” può portare a vittorie fulminati. Ma più spesso, nella Storia, è associata alle peggiori disfatte. In mezzo a tutta questa euforia biotecnologica non si accenna mai, da parte degli ufficiali intervistati, agli effetti collaterali che tali trattamenti potrebbero provocare sull’organismo umano. L’unico protagonista del discorso è sempre e solo il virus. Ma ancora, forse per un breve tempo, quello dell’uomo non è un corpo invincibile, non è perfetto, e soprattutto non può essere usato come campo di battaglia su cui testare strategie azzardate, anche se spinti dagli scopi più elevati, senza calcolarne contemporaneamente il “costo umano”.

Che la priorità sia battere i competitor in un’ottica geopolitica si evince dal modo di affrontare le nuove minacce pandemiche, come spiega il dottor Hepburn sempre alle telecamere di Cbs: “Noi diciamo: “Ecco i tuoi soldi. Ma poi ecco il cronometro”. Parole in gergo, il cui significato è: “Mostraci quanto puoi andare veloce”. E ancora, aggiunge Hepburn: “Per noi della Darpa, se gli esperti ridono di te e dicono che è impossibile, sei nello spazio giusto”.

Se questa sarà la “nuova normalità” nel campo della ricerca scientifica e della medicina del futuro, allora bisognerà mettere in conto che “puntare alla Luna”, altro slogan molto amato dentro Darpa, può certo significare piazzare la bandierina per primi. Ma anche che il razzo possa esplodere prima o poi tra le mani. E anche calcolare questo rischio è un “dovere morale” che non può e non deve mai essere ignorato.

Beatrice Nencha, 1° agosto 2021

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