Saviano ha sempre ragione. Anche se usa il bimbo sbagliato

Lo scrittore ha postato sui social un’immagine per condannare Putin. Peccato che lo scatto sia del 2015

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Frank Zappa è stato un compositore totale del Novecento ma era anche uno che in faccia non guardava nessuno. Una volta fece una canzone, carognissima, in cui raccontava che l’attivista nero Jessie Jackson si intingeva le mani nel sangue di Martin Luther King e poi se le passava in faccia per passare lui da vittima. Ecco, per un tipo come Saviano ci vorrebbe Frank Zappa. Perché il soggetto, a forza di tirarsela da martire, ha perso il senso delle proporzioni, del reale e pure del ridicolo. Spara la foto di un povero bambino mutilato, la attribuisce all’invasione dell’Ucraina, poi, quando viene fuori che la foto è di sette anni fa, figlia di tutt’altra situazione (Canada, non esattamente una zona di guerra), si gonfia come la rana di Esopo: “Nulla cambia nel testo che ho scritto e che ribadisco con ancora più forza”. Tradotto: io ho sempre ragione. Come Mussolini, solo che glielo diceva Longanesi, per amabilmente percularlo.

Ora, siamo onesti, a chi non scappa di tanto in tanto una topica, praticando questo mestiere? Il fatto è che Saviano questo mestiere non pare averlo nelle corde, a dispetto della quantità prodotta che mai si trasforma in qualità: lui è un pubblicitario di se stesso e lo è da sempre, da quando Gian Arturo Ferrari, dominus in Mondadori, lo strappò ai vapori da centro sociale di Nazione Indiana, robetta da borghesi con troppi soldini e troppe seghe filoterroriste, e lo costruì come fenomeno editoriale.

Il resto venne da sé, con il ragazzino, era il 2006, che dopo una trombonata su un palco rossofuoco cominciò a definirsi da solo nel mirino della camorra. Diventando il giovane dalla testa a ogiva una azienda, parve conveniente dotarlo di scorta extralarge e cavalcare un pericolo sul quale, in verità, nessuno trovava fondamenti; anzi, più lo ribadivano e meno le pistole fumanti saltavano fuori. In compenso, uscivano parecchi pistola pronti a giurare sulla santità del martire di Chiaia. Finché un giorno il capo della Squadra Mobile del capoluogo campano, Vittorio Pisani, esasperato da quella sceneggiata si azzardò a dichiarare che “a noi non risultano particolari minacce in merito a Saviano”: le minacce che gli arrivarono dagli anticamorra avrebbero fatto impallidire Cutolo, per poco non gli recapitavano una testa di cavallo dritta nel letto.

Per dire che Saviano avrà pure avuto l’astio dei Casalesi, di Sandokan Schiavone che, giurano, lo voleva schiattato, però intanto diventava intoccabile, impronunciabile come il Dio della Bibbia, e, al limite, letto nelle chiese, come faceva, tra gli altri Carlo Lucarelli, quello di “paura, eh?”. Una agiografia ossessiva, dai tratti demenziali, che non s’è arrestata neanche davanti alle condanne per plagio, a una condanna per diffamazione (contro l’imprenditore Vincenzo Boccolato), al rinvio a giudizio per diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni, definita “bastarda” in televisione, alle polemiche con una erede di Benedetto Croce, che lo accusò di avere inventato e trascritto un episodio riguardante il filosofo (ricevendo una querela dal martire presuntuoso). Siamo al punto che rifiutarsi di seguire le sue omelie piombate da Fazio fa guadagnare immantinente una accusa di capoparanza.

In realtà, la prosa di Saviano è insostenibile, una raffica di banalità, un colpo di maglio in nuca: scrive, scrive, ma non è cosa e l’indigestibile Gomorra, che non va giù neanche a overdose di digestivo Antonetto, è il classico libro da comodino che tutti presero ma pochi hanno letto e quei pochi al prezzo di abuso prolungato di pantoprazolo; sugli altri tomi, peggio ci si sente. La cifra letteraria di Saviano è quella di Cesare Battisti, il terrorista dei due mondi: quello dei poveri cristi e quello dei poveri lettori. Non a caso, il ragazzo Saviano fu il primo firmatario di una lista vergognosa, promossa dal collettivo comico-maoista Wu Ming, oggi ufficialmente disperso, insieme ai parigrado Valerio Evangelisti e Giuseppe Genna: “Corri, Cesare, corri”, che sei una vittima. Poi, quando il balordo ha ammesso tutto con gli interessi, i cialtroni firmaioli sono corsi loro, per non farsi più ricordare. Ma Saviano aveva fatto per tempo, ritirando il suo appoggio con la squisita motivazione: “Adesso i miei libri li leggono tutti”. Sempre patologicamente presuntuoso.
L’approccio orale è se possibile ancora più immangiabile, con quei prediconi strampalati di rosso vestiti, quelle omelie trinariciute senza capo né coda. Hanno voglia a millantare le strazianti emozioni che regalerebbe a suon di pipponi, la verità è che appena Roby lo senti dormi seduto con gli occhiali. Con quel ditino sempre in punta di narice, a posare un pen(s)oso atteggiamento morale. L’uomo più tamponato del mondo, al posto del cotton fioc usa l’indice (noi il medio, verso di lui). Saviano è “uno che vive di parole”, nell’immortale definizione di Aldo Grasso, ma è pure uno che vive di pose, un influencer dell’antimafia. Perché per lui, cioè per la Saviano inc., tutto è mafia, cioè business: la guerra, la politica, il riscaldamento globale, i terremoti, la crisi energetica, l’invasione russa, Berlusconi-Salvini-Meloni, la destra, buona parte della sinistra, l’America, il Covid, le carestie, le disuguaglianze, le mezze stagioni che non ci sono più.

Lui la mafia la mette su tutto, se va in pizzeria al cameriere dice (col dito sulla narice): uhè, guagliò, mi raccomando che la mozzarella non venga da allevamenti della camorra. Se va dal gommista, lo ammonisce: statt’ accuort che le gomme non vengano dalla terra dei fuochi. Una mania, ma tutta orientata a fare soldi per fare soldi per fare soldi. Perché Bob Saviano, detto ‘O Martirone, da bravo bottegaio “’e’ sorde” non l’ha mai schifati fin da quando, all’insegna del vittimismo outsider, faceva da cinghia di trasmissione tra Mondadori dell’esecrato Berlusconi e Repubblica-Espresso dell’adorato De Benedetti, le due maggiori corazzate editoriali del Paese. Del resto, uno che ha avuto il coraggio di subentrare a Giorgio Bocca nella rubrica “L’antitaliano” proprio sull’Espresso, non può tenere vergogna. Bocca è stato uno degli ultimi immensi di una stagione giornalistica irripetibile, dopo di lui avrebbero dovuto ritirare quella rubrica: l’hanno data a un presuntuoso che più sfondoni piglia e più fa la ruota del pavone. Aveva ragione Giorgio nel dire: “A me questo Saviano mi sta sui coglioni”.

A tutta Italia, in realtà: anche a chi non lo ammette e segue “Che tempo che fa” come atto militante. Il programma dei ricchi sfondati: a forza di pose, di scorte, di pipponi di “aver ragione” sballandole tutte, Bob Saviano ha messo insieme un capitale che solo un anticapitalista di parole (ma non di parola) come lui poteva raggranellare, compreso un bell’attichetto a New York con vista su Central Park: la causa dell’antimafia lo esige. La sua compagna, in tutti i sensi, la Meg ex cantante del gruppo sovversivo napoletano 99 Posse, quello di ‘O Zulu, lo zapatista che vedeva fascisti da sterminare ovunque, così come Saviano i mafiosi, da brava comunista fanatica che voleva sradicare dal mondo la proprietà privata, risulta risidere in un appartamento da 120 metriquadri a Napoli, naturalmente blindato e munito di telecamere di sorveglianza. E va in giro, per non esser da meno del compagno, scortata da sbirri non più “nemici da abbattere”.

Una bella coppietta di paraculi tricolore, non c’è che dire: con compagni come questi, chi ha bisogno dei liberisti? E chi ha bisogno di giornalisti, con bufale tipo quella del piccolo mutilato di Mariupol? Ma, ancora una volta, a Bob l’americano hanno fatto lo sconto: Puente, il “debbunker” de Mentana, quello di Open cui è stato appaltato il controllo delle fonti su Facebook (con risultati che farebbero la delizia dell’impero sovietico o maoista), ha minimizzato lo scivolone a “notizia priva di contesto”. Di chiunque altro a destra avrebbe detto: cialtrone, mascalzone, fregnacciaro, grand. Ladr. Farabutt. Matricolat. Ma non del compagno martire scortato emarginato censurato vittima dei poteri forti più rompiballe che c’è. Saviano, invecchiando, si fa crescere il barbone, dopo averlo fatto crescere per 16 anni a tutti, e somiglia sempre più a Giobbe Covatta. Solo che fa più ridere.

Max Del Papa, 18 aprile 2022

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