Saviano vende fuffa al Corriere

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L’epocale passaggio di Roberto Saviano da Repubblica al Corriere è un affarone (a proposito: si potrebbe saperne di più o siamo vincolati al silenzio degli omertosi?) per molti, ma non per tutti: ci guadagna ovviamente il maitre a petit penser sponsorizzato, ci guadagna Repubblica che se ne libera, ma il Corrierino a giudicare dall’esordio ci smena: il biglietto da visita di Roby “Bory” Saviano è una videoinchiestina-soufflè sull’obbligatorio tema delle mafie che col Covid ci guadagnano.

Chi abbia mai impacato Roby al ruolo di esperto di Cosa Nostra, non è mai stato chiarito: la leggenda parla della brillantissima intuizione di Gian Arturo Ferrari, che, all’epoca, trasse un ragazzotto ambizioso dalle nebbie vaporose di “Nazione Indiana”, uno dei tanti sotterranei di paraletteratura antagonista, e ne fece una macchina da soldi per Mondadori; l’intendenza mediatica sarebbe seguita di conseguenza, a partire dal martirologio. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: Gomorra funzionò come il Libretto Rosso dell’antimafia comunista, lo leggevano nei centri sociali, nelle chiese sconsacrate e non, se non l’avevi sul comodino minimo minimo eri un picciotto di Totò Riina.

Più che inchiesta, tesina da terza media

In effetti, un mattone d’acqua calda che si ispirava, senza renderle né giustizia né rispetto, alla sceneggiatura di “Piedone lo Sbirro”. Il resto è storia e, soprattutto, business. Perché, ammoniva Gordon Gekko, è sempre una questione di soldi, il resto è conversazione. Roby Boy letterariamente si ispira a Simenon: tre camere a Manhattan (con vista su Central Park), come giornalista invece è nella media. Nel senso che la sua opera prima per il Corriere pare una tesina di terza media: una pioggia dorata di banalità – l’usura che strozza, la mafia che ne approfitta, a Rimini fa incetta di alberghi, pensate, fino alla rivelazione suprema, escatologica: “[oggi] l’estorsione ha un volto diverso e si manifesta mettendo a disposizione capitali”. Scemi noi che pensavamo mettesse a disposizione profiteroles.

Due palle così. Per gonfiare le quali, Roby s’affida alle esplosive testimonianze di due interlocutori due: un procuratore aggiunto antimafia e un ex commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e anti usura: se ce la fate a recitarlo tutto senza prendere fiato vincete una cena con Saviano: io, mammeta e ‘a scuorta. Non dicono niente di che, ma si parla molto, di “rapporto, molto complesso, tra criminalità organizzata e usura”, ma chi l’avrebbe detto, si parla di un tale di Sos impresa che racconta come “nel Napoletano i clan abbiano minacciato e in alcuni casi pestato preti per ottenere gli elenchi dei bisognosi che ricevevano aiuti dalla Caritas”. Nooo! E perché mai? Vediamo se ci arriviamo da soli: forse per sovvenzionarli loro, in modo da incravattarli per benino? Ma per capire questo bastava Amici Miei con Savino Capogreco lo strozzino. Meglio ancora, bastava un libro vero, serio, sulla camorra, “Napoli siamo noi” che Giorgio Bocca firmò alla veneranda età di 85 anni: centocinquanta pagine che dicevano tutto quello che Saviano non avrebbe mai detto in fiumi di parole. Pensare che all’Espresso gli diedero proprio la rubrica di Bocca, l’Antitaliano, ci sarebbe da carcerarli. Tutti.

Apprendista tuttologo

E insomma, l’esplosiva prima inchiesta di Roby per il Corriere è tutta qui. Breve ma elefantiaca: uno ad arrivare in fondo non ce la fa tanto è stoppacciosa, faticata, zoppicante a cominciare dall’odioso vezzo di narrare in prima persona, io, io, io-io-io. Si parla di questo, si parla di quello, si parla addosso: le paginette di Boy Rob restano inchiodate ad una superficie di constatazione, non si scende mai in profondità, non si scopre mai altro che acqua calda, si milita molto, si fa parecchia ideologia, si pratica l’inesausto vittimismo dell’autoproduzione. Ma niente di più. Mai. “Ciò dimostra che ormai nessun luogo è immune, che Milano non è immune, che la Lombardia non lo è, che non lo è il Nord – e questo lo sapevamo già…”. Se lo dice pure da solo, meno male.

“Ormai”, Roby? Ormai oggi Milano non è immune da mafia e usura? E su, che hai 40 anni, informati, chiedi chi erano quei ceffi che negli anni ’60 e ’70 stavano con le macchine davanti al Ragno d’Oro e dirigevano il traffico di chi entrava a sentire Tony Dallara. Documentati sulla pittoresca e pericolosa clientela del Derby. Prova a informarti su Turatello, Ugo Bossi, Vallanzasca e i rapporti burrascosi tra di loro e con i mafiosi di Liggio a Milano. Vuoi una mappa dei luoghi già controllati allora dalle organizzazioni criminali, la vuoi oggi?

Tutto è molto irritante, perché puerile; perché questa tuttologia di cui resta poco e niente sa molto di apprendista a dispetto del pompaggio che da una quindicina d’anni gonfia questo ragazzo transitato da Repubblica al Corriere, abbiamo letto, per intercessione di Fabio Fazio. Perché oggi per cambiare giornale ci vuole un conduttore vicino al Pd, il cui impresario, Beppe Caschetto, è un ex funzionario Cgil.

E va bene, diteci pure che siamo miscredenti, blasfemi, che Roby è un martire anche per noi ingrati, anzi diteci che rosichiamo perché lui fa Central Park – Che tempo che fa in 8 ore nette, Lindbergh is nothing. Prima però leggete il compitino di Roby Saviano, possibilmente arrivando in fondo (è roba da duri, ma ce la si può fare). E poi ne riparliamo.

Max Del Papa, 17 gennaio 2021

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