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Scende in campo il banchiere anti-Musk. Ma tutti zitti sull'”ingerenza”

I nuovi nemici della democrazia? Elon e Zuckerberg. Le accuse ai social sono infondate. E Pigasse punta a schierare i suoi media “al servizio di una visione aperta e progressista del mondo”

Pigasse elon musk

Elon Musk e Mark Zuckerberg sono i nuovi campioni di una pericolosa oligarchia illiberale? È quello che l’intellighenzia progressista cerca di farci credere in questi giorni. Ostinatamente, o meglio, ossessivamente.

Fino a ieri l’altro, erano due geni. Due esempi. Quando Musk finanziava le campagne democratiche di Obana e Clinton era semplicemente un eroe, prode amante di tesi ambientaliste e vate dell’elettrico. Adesso che ha cambiato idea, rivisto qualche vecchia convinzione, puntato su Trump e s’è comprato Twitter, (ora X) e riabilitato il vecchio Don, è un essere mostruoso. Uno che non assomiglia a nessuna delle creature mitologiche immaginate dalla Grecia antica.

E Zuckerberg, da paladino della libertà, rivoluzionario che ha schiuso un mondo nuovo e dorato, è diventato anche peggio di Musk dopo la giravolta a 180 gradi contro wokismo e censura. Ha fatto il giro del mondo – scansando l’Italia – l’intervista al podcast di Joe Rogan in cui il CEO di Meta ha sbugiardato l’amministrazione Biden denunciando le pressioni subite per la rimozione di contenuti che denunciavano le reazioni avverse e l’inefficacia dei vaccini Covid.

Ma il voltare le spalle alla correttezza politica dei fact checker a sostegno della libertà d’espressione è stata denunciata come una minaccia per la democrazia. Insomma, finché Facebook e Twitter lavoravano per diffondere idee inclusive e soffiare sotto il pericoloso fuoco di  MeToo o  Black Lives Matter erano visti come i meravigliosi templi della democrazia. Ora che lì potranno essere accettati punti di vista non allineati al mainstream, sono pericolosi.

La verità al di là della correttezza politica, non è verità: è così che è stato plasmato il fenotipo ideale fruitore dei social.
Il divario tra il linguaggio spontaneo e la volontà politica di imporre parole autorizzate ha imposto standard e forzato l’uso. Un vocabolario, oltre che una propaganda, che ha compensato, finora, con la radicalità la mancanza di presa sulla realtà.
Tre sono le critiche mosse ai social network: diffondere discorsi di odio e violenza; condividere  informazioni false e esercitare ingerenze al servizio di un progetto politico specifico.

Quanto alla prima accusa, è innegabile che la polarizzazione politica è accelerata dalla cultura dello scontro praticata su queste piattaforme. Ma la censura non ha mai portato a una riduzione della violenza. Ricordiamo che l’assalto al Campidoglio è avvenuto proprio nel momento in cui Twitter era nelle mani di leader filodemocratici che censuravano con tutte le loro forze gli account dei sostenitori di Trump. Quando la libertà di espressione viene imbavagliata, il rischio è quello di trasferire la catarsi mediatica nelle strade.

I social sono accusati, poi, di diffusione di fake news. Il ministro del digitale francese, Clara Chappaz, interrogata sulle controversie che incutesti mesi bersagliano Musk, ha dichiarato che è necessario garantire che «le opinioni false possano essere rimosse dalla piattaforma». Intervistata da un giornalista, si è corretta: «Intendevo informazioni false». Ma il lapsus è interessante. Cos’è esattamente una falsa opinione? E soprattutto chi lo determina? Il governo?; i giornalisti di sinistra?; il Ministero della Verità?

Ancora il ministro Chappaz ha dichiarato che, dal momento che Musk con X rappresenta un pericolo per la democrazia, si potrebbe pensare di vietarlo e basta. Un simpatico ossimoro.

È vero, c’è bisogno di regole, e i social diffondono spesso informazioni false. Ma non solo i social. Quando Mario Draghi dichiarò, «l’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore», non era su X, ma in conferenza stampa da primo ministro. E sebbene la sua fosse un’affermazione del tutto infondata, ed anche smentita ampiamente dai fatti, nessuno osò correggerlo.

L’ultima accusa riguarda l’ingerenza dei social sulla scena politica, cosa di cui Musk sarebbe il principale artefice, – specie dopo i suoi post che hanno acceso i riflettori sulle gang di pakistani stupratori in Inghilterra, e di cui il partito laburista non vuole parlare.

Perché Musk non può esprimere opinioni e contestarne altre con i social?

Matthieu Pigasse, il banchiere punk-rock – così oltralpe l’hanno battezzato – del capitalismo francese, co-proprietario del Monde, (il quotidiano dell’intellighenzia), di Les Inrockuptibles, il settimanale indie-pop più celebre di Francia, proprietario del festival Rock en Seine, azionista dell’etichetta londinese Rough Trade, e a capo della filiale parigina della banca di investimento americana Centerview, non ha dimostrato di essere campione di pluralismo, né di pacifismo, quando ha affermato, pochi giorni fa, di voler scendere in campo per un combat culturel, «voglio mettere i media che controllo al servizio di una visione aperta e progressista del mondo. Se si guarda allo sviluppo di Radio Nova (la radio di cui è proprietario), è esattamente quello che stiamo facendo e che continueremo a fare in modo sempre più deciso». Naturalmente nessun sindacato, nessun politico, nessun tecnocrate europeo ha protestato contro questa ingerenza, né si è preoccupato della libertà di espressione dei giornalisti nei media di sua proprietà.

La gauche in preda al panico generato dalla sensazione di star perdendo il monopolio dei media in favore si un buon senso che risale dal basso, si farà più brutale?

Yaël Braun-Pivet, presidente dell’Assemblea nazionale ha formulato il sentimento di disorientamento, oltre che di temere la libertà d’espressione: «La liberalizzazione delle reti social americane è una minaccia per la democrazia». Ray Bradbury non avrebbe potuto dirlo meglio: la libertà di espressione è una minaccia per la democrazia! E ancor di più con la presa di posizione di Zuckerberg. Il capo di Facebook, Instagram, Messenger e WhatsApp, che possiede i dati di circa 4 miliardi di persone, ha dichiarato: «Ho intenzione di ripristinare la libertà di espressione». In una manciata di minuti, con una brutalità che nessuno ha sottolineato, ha confermato i pregiudizi di tanti che nessuno, però, credeva fossero pianificati. Un po’ come se il capo della Stasi avesse detto, «da oggi non entro più nelle vostre camere da letto a vostra insaputa».

Ecco che da domani, gli utenti potranno dire liberamente la loro su riscaldamento climatico, Trump, immigrazione irregolare, teorie queer, ma si lamenta un pericolo per la libertà. Per dirla ancora meglio: fino a ieri la sinistra globale ha potuto contare su un immenso e velocissimo treno – che mai tornava indietro su nulla – di propaganda che, fingendo di essere aperta a tutti, rendeva visibili solo alcuni contenuti, e adesso sostiene che, riviste le regole, arriverà una minaccia seria alla libertà d’espressione.

E come se non bastasse il patron di Meta ha deciso anche di eliminare le corsie preferenziali per le persone appartenenti alle cosiddette minoranze e diversità. Con il freno ai programmi di diversità e inclusione arriverà anche la fine del wokismo?, si domandano in tanti.

La verità è che con lo scrittore Boualem Sansal in prigione dal 16 novembre per le sue parole contro l’islam, forse è abbastanza vergognoso che ci sia, anche tra chi governa il mondo occidentale, chi osa parlare di “sfida democratica” perché sono andati in pensione in fact checker e Musk si sente libero di dire quello che pensa.

Resta una domanda, chi sciopera contro la libertà di espressione e dice di voler scappare da X, Facebook e Instagram, resterà raggiungibile su TikTok con estrema gratitudine a Xi Jinping e l’intero Partito Comunista Cinese per l’esistenza di questa piattaforma?

Lorenza Formicola, 17 gennaio 2025

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