Cronaca

Toglietemi tutto, ma non le croci sulla cima delle vette

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Ma sì. Ma basta. Ma togliete tutto. Tutto. Levate via le croci, i crocefissi, i Santi, le Madonne, i presepi, togliete anche i nomi dei pittori dalle strade perché allontanano le culture e la maggior parte di loro hanno dipinto Santi e Cristi. Censurate tutto. Mettete i veli alle statue. Cambiatevi i cognomi. Pronunciate a, anziché o. Metteteci le schwa.

Ci mancava la crociata delle croci a portare il dibattito in vette altisonanti. Tanto che ora la polemica dilaga anche in Austria. E come sempre la colpa è della destra che strumentalizza. Ma è proprio così? Torniamo indietro.

È il 13 giugno scorso quando il Cai (Club Alpino Italiano) nel suo portale “Lo Scarpone”, scrive: “La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce di vetta? Ha ancora senso innalzarne di nuove?”. L’incipit si riferisce a un incontro tenutosi il 22 giugno scorso alla Cripta Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano, per la presentazione del volume di Ines Millesimi “Croci di vetta in Appennino”.

Continua poi lo scritto a firma di Pietro Lacasella. “Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no – scrive – Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale”. “Perciò, se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità”.

Ora.

Non so voi, ma cosa vuol dire esattamente che “la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale”, e che “si rivela anacronistico” innalzare nuove croci perché “sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità?”. Che al posto delle croci dobbiamo aspettarci i canti del muezzin dai minareti?

Così i ministri Daniela Santanchè e Matteo Salvini hanno preso di petto la questione e hanno chiesto la retromarcia del Cai. L’avessero mai fatto. I giornaloni investiti di sua santità Politicamente Corretto, hanno detto che Salvini e Santanché hanno strumentalizzato le parole e le hanno travisate perché, come ribadito poi dal presidente del Cai, quelle parole non rispecchiano la posizione ufficiale del Cai ma sono frutto di chi le ha concepite, partorite e scritte.

Ok. Ma se scorriamo a guardare il profilo di Lacasella, l’autore dello scritto, scopriamo che è proprio lui che “organizza e cura i contenuti della testata online del Club alpino italiano “Lo Scarpone”. Quindi non sarà la posizione ufficiale del Cai, ma è pure sempre il sito ufficiale. Uno che deve pensare?
Il Cai ha provato quindi a fare retromarcia, ma, come si sa, in certi casi, la toppa è peggio del buco. Il Club alpino italiano, con un articolo sul suo sito, ha fatto sapere che “guarda con rispetto le croci esistenti (…) rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino”. Ma “è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il Cai a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne”. Ok. E quindi?

E quindi a intricare ancora più la trama di questa soap estiva, ci si è messo il presidente Antonio Montani che ha provato a chiudere la polemica ma ha ingenerato un corto circuito. Si è scusato con il ministro Santanchè e ha detto che: “Il Club alpino italiano non ha nessuna intenzione di togliere le croci dalle vette delle montagne” e che: “Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro”. Tombola. Non l’avesse mai fatto. Il direttore editoriale de “Lo Scarpone”, Ferrari e il curatore del sito Lacasella si sono dimessi. E per solidarietà i giornalisti della redazione scioperano. Insomma non c’è pace nemmeno in alta quota. Occhio a prendervela con le croci.

Serenella Bettin, 2 luglio 2023

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