Tutti i flop dell’Europa nella pandemia

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“Bisogna che i governi si mettano in testa che va ceduta una parte di sovranità anche per gestire le questioni sanitarie…che questo virus ha dimostrato essere non più nazionali”.

“Ci vuole più Europa”

Era il 3 marzo del 2020; l’Italia sperimentava sulla sua pelle le conseguenze del Covid da poco più di dieci giorni e l’eurodeputata piddina Simona Bonafè ospite a Otto e mezzo di Lilli Gruber non trovava di meglio che cogliere la palla al balzo per recitare il mantra del “ci vuole più Europa” ripetuto da tanti nei mesi successivi a mo’ di incessante litania. Dobbiamo investire in sanità? Ci vuole più Europa col Mes sanitario. Serve un piano Marshall per ricostruire l’economia distrutta dalle chiusure spesso immotivate e comunque più dannose che altro dell’economia? Ci vuole più Europa col Recovery Plan. Cade il governo di cui non sentiremo la mancanza? “Ci vuole un premier europeo per l’Italia” è il titolo dell’editoriale di domenica 31 gennaio del direttore Molinari di Repubblica. Un leader ovviamente espressione di una “maggioranza europeista”. Ed io che pensavo che il premier dovesse essere semplicemente italiano, quand’anche un bell’inquilino asiatico a Palazzo Chigi in questi tempi di pandemia farebbe la sua porca figura. E lasciando intendere, sempre Repubblica, che sarebbe forse il caso di avere – nella forma e non solo nella sostanza – un presidente del Consiglio tedesco.

Vaccino, l’Ue messa ko dal Regno Unito

Ogni occasione è buona per testimoniare la religione del Più Europa. Durante la campagna referendaria britannica del 2016 – che col suo esito in favore della Brexit ha poi avviato il faticoso ma alla fine completato percorso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea – le espressioni apocalittiche per terrorizzare gli elettori si sprecavano a piene mani. “In caso di Brexit sarebbe la fine della civiltà occidentale” tuonava rimanendo serio l’allora presidente del Consiglio europeo Donald Tusk che, ad essere pignoli, in quanto polacco non sembra proprio essere il testimonial ideale dell’occidente. Brexit senza accordo, dal cibo ai medicinali: lo scenario del caos nel dossier top secret titolava allarmistico il Corriere della Sera citando il Sunday Times lo scorso 18 agosto 2019.

Era uno dei tanti giorni in cui si profilava una Brexit senza accordo. Se il dossier era top secret un motivo forse c’era. Riletto 529 giorni dopo verrebbe quasi da farsi qualche grassa risata. “L’Ue ha dichiarato che AstraZeneca deve attingere a dosi di vaccino Covid per compensare la carenza di forniture ai suoi stati membri” scrive l’europeissimo ancorché britannico Financial Times con tanto di pizzino finale “una richiesta che potrebbe provocare un’esplosiva contesa politica post Brexit”. Quindi la tanto blasonata Ue si riduce a pietire i vaccini (che non ha) chiedendoli ad un Paese che secondo la sua propaganda a reti e tipografie unificate sarebbe sprofondato nel mare del Nord dopo l’uscita dall’Ue?

Quel Regno Unito che conclude i primi accordi contrattuali per la fornitura dei vaccini il 17 maggio 2020 mentre all’Ue si sono premurati di fare le prime richieste firmando un contratto lo scorso 30 agosto. Contratto da leggere obbligatoriamente fra le righe dal momento che le pagine 4 e 5 alla voce “Costo delle merci” presumibilmente si parla proprio dei vaccini ma è impossibile da sapere visto che seguono 61 righe completamente oscurate. Alla faccia della tanto sbandierata trasparenza.

E intanto come al solito i numeri impietosi parlano da soli dal momento che nel Regno Unito sono già stati vaccinati 13 cittadini su 100 contro i 3 dell’Italia. E per finire Arcuri minaccia improbabili cause contro le cause farmaceutiche. Sempre che qualcuno spieghi al super commissario che non essendo parte contrattuale in quell’accordo l’unica cosa che potremmo fare è rivalersi sull’Unione europea cui abbiamo conferito questo incarico. Ma è veramente così difficile da capire?

Fabio Dragoni, 1° febbraio 2021

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