Giustizia

“Una vergogna”: la storia del giornalista messo alla sbarra da un magistrato

Kelly Duda

Tra i tanti rinvii imposti dal Covid, in queste settimane, c’è stato anche quello del processo contro Kelly Duda. L’imputazione? Oltraggio a un magistrato in udienza. Si tratta di un noto giornalista americano e di un meno noto reato, rubricato all’articolo 343 del codice penale. Il fatto che sia poco “praticato” (forse) non lo rende meno odioso.

Duda, 54 anni, è considerato il massimo conoscitore dei contorni e dei retroscena del grande scandalo del sangue infetto che negli anni 80-90, in Italia (caso Poggiolini, per intenderci, peraltro concluso con tutte assoluzioni) e in numerosi altri Paesi fu utilizzato per le trasfusioni causando gravi malattie in migliaia di pazienti. Il 4 dicembre 2017 è stato sentito come testimone su richiesta delle parti civili. Duda si è recato a Napoli per essere ascoltato. A quel punto però, sostiene l’interessato, l’accusa non era più interessata alla sua testimonianza e il procuratore Lucio Giugliano avrebbe considerato irrilevante la sua testimonianza, che puntava a sottolineare un legame tra il sangue infetto proveniente dall’Arkansas e gli imputati del “caso” italiano.

Sorpreso dall’atteggiamento della Procura, che prima della fine del processo avrebbe chiesto l’assoluzione degli imputati, al termine dell’udienza Duda si è trovato a salutare il procuratore Giugliano commentando: «In my country, what you did today as a prosecutor would be disgraceful». Tradotto: «Nel mio Paese, quello che lei ha fatto oggi sarebbe una vergogna». A quel punto, il magistrato ha detto a Duda che aveva appena commesso un reato. Il pm reagì chiamando la polizia giudiziaria che fermò il giornalista e si fece consegnare il suo passaporto. Il magistrato chiese di trattenere Kelly Duda per il suo comportamento, ma le accuse non furono ritenute tali da giustificare tale misura di restrizione della libertà. Duda tornò negli Stati Uniti, ma la denuncia del magistrato ha portato, nel 2019, al rinvio a giudizio del giornalista Usa.

Non so chi abbia torto o ragione – cioè se le accuse del processo Marcucci-Poggiolini fossero fondate e fossero state “provate” dalla testimonianza di Duda – ma mi sembra indegno di un Paese civile e democratico la super-protezione che l’ordinamento assicura a un magistrato. La frase oggetto dell’accusa – peraltro nemmeno resa pubblica dal giornalista – diventa “ingiuriosa” perché a riceverla è stato un magistrato. Se al suo posto ci fosse stato qualunque altro soggetto pubblico la cosa sarebbe finita lì, al massimo con un reciproco risentimento, più o meno giustificato. La ratio della legge (datata 1938) sta nella volontà di proteggere il prestigio degli organi e dei soggetti investiti di funzioni pubbliche. Ma non tutti, solo i magistrati.

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